lunedì 23 novembre 2009

BITA - ALE DAGLI ANNI '90 AD OGGI - 11^ PUNTATA

Atene era brutta. Puzzava, si mangiava male, le strade erano buie, la gente maleducata. Sembrava un losco paesino lombardo, solo più sporco. Il clima della gita non era tra i migliori: i professori ci stavano alle costole e non sopportavano di darci più libertà di quella concessa nel tragitto dalle camere alla hall dell'albergo (o degli alberghi, visto che la bella idea era stata quella di girare vari posti e passare non più di due notti in ogni albergo). Per essere la tanto agognata gita di quinta, insomma, si stava rivelando una bella merda. In più, il mio rapporto con M., che prima del fattaccio nel viaggio d'andata era comunque cordiale e simpatico, era decisamente degenerato fin dai primi giorni di quella gita. Nonostante la mattina immediatamente successiva lui avesse deciso di fare finta di niente, come me d'altra parte, i buoni propositi, almeno da parte sua, parevano essere andati a far compagnia alle frequentazioni notturne di taluni importanti politici. Un giorno in pullman, al momento di scendere, percorsi il corridoio tra le file di posti e arrivai di fronte a lui. Esitai per farlo passare e farlo scendere prima di me, mentre lui, con elegante e raffinato accento oxfordiano, mi rispondeva "daiii esci, frocio".

Ora, la cosa non mi colpì tanto per il termine, quanto per la persona che l'aveva pronunciato. Non era da lui, semplicemente (sorvolando su tutti i normali rimandi alla sua presumibile repressione, ma non siamo qui per psicanalizzarlo). Un ragazzo di Chiesa, ma comunque sempre educato, anche abbastanza restìo a schierarsi nei momenti di discussione. Quel "frocio", detto così, con disgusto, con rabbia, senza che gliene fosse mai uscito uno dalla bocca, fu una cosa inutile e fuori luogo, che vivetti malissimo. In tutti i sette giorni di gita, nonostante fossimo in camera assieme praticamente sempre, ci ignorammo o parlammo a monosillabi, senza mai toccare nemmeno lontanamente il discorso "prima notte in nave". La gita passò lenta e inutile, fino al ritorno, di nuovo in nave.

Quella volta fummo di nuovo in cabina assieme, con il terzo ragazzo dell'andata e un quarto nostro compagno di classe, non presente all'andata. Ci mettemmo a letto (ognuno nel suo, questa volta), contando di addormentarci entro breve. Parlammo un po', scivolando via via nel sonno. La cosa mi irritò: quella gita che all'andata era stata tanto sconvolgente si sarebbe risolta in un nulla di fatto, esattamente come voleva lui, come se niente fosse successo, come se con un "vai, frocio", lui avesse potuto cancellare quella notte dalla sua testa e, insultandomi, fosse riuscito a ristabilire i toni e i confini che gli erano stati insegnati fin da piccolo. Ma io decisi di non prestarmi a quel giochetto di merda, e passai al contrattacco, tirando fuori dal cappello una delle idee più brillanti (per tempistica) mai avute. Approfittando di un momento in cui ognuno (tranne lui) raccontava determinate esperienze personali o vissute da amici, raccontai agli altri tre una certa storia. La storia parlava di un mio amico e una mia amica, da sempre in buoni rapporti, che una notte si trovarono, per caso, a condividere un determinato momento intimo. Non lesinai i dettagli, fissando dritto nell'oscurità verso il suo letto. Parlai dell'insicurezza di lei, della cattiveria di lui nel fingere che non fosse successo niente, nello sfotterla, mi feci dare dei consigli su come si sarebbero comportati loro in quella situazione. Quella ardita metafora mi fece arrivare a fargli capire che "sapevo che lui sapesse", che capivo ciò che gli passava per la testa e ritenevo imperdonabile il suo comportamento. Dopo quella discussione ci addormentammo.
La mattina dopo gli altri 3 scesero a far colazione, mentre io rimasi in camera a dormire ancora una mezzoretta. Lui fu il primo a tornare in camera, stavolta da solo, portandomi una fetta di torta da sgranocchiare per non salare di netto la colazione. "Con la storia di ieri ti riferivi a noi... cioè, a me, vero?". Mi sorprese, per la prima volta, l'aria risoluta che assunse, tipica di chi non vuole girarci attorno all'infinito. Ne parlammo e tornò a deludermi: secondo lui ciò che accadde sette notti prima fu un mio tentativo, fu tutta una mia responsabilità, mentre lui stava solo cercando di dormire. Fui chiaro: per me non era così e lui lo sapeva bene, ma ben preso la discussione si spostò sul nostro rapporto, mettendo da parte quell'aspetto che, probabilmente, era stato la causa scatenante del mio interesse improvviso.

Il chiarimento fu insperato ma abbastanza inutile; mi lasciò con una sensazione di tempo perso, nulla di fatto. Il viaggio in nave era quasi giunto al termine, tutti eravamo riuniti in zona bar con le valigie pronte per tornare sulla terraferma. Non vedevo l'ora di tornare a casa, ma qualcosa in quel momento toccò le mie corde in un modo che non avrei creduto possibile. M., seduto ad un tavolo del bar, stava parlando ad alcuni miei compagni di alcuni aspetti della sua vita: raccontò del suo rapporto con la religione, della sua storia che andava avanti da più di due anni, della scelta di arrivare vergine al matrimonio e della sua famiglia. Lui, ottavo di otto fratelli, attirò la mia attenzione per il modo in cui parlava dei suoi familiari, con amore, con rispetto, raccontandomi dell'organizzazione di una famiglia numerosa, di tutto un sistema di valori e ideali in cui credeva e per cui lottava. Mentre ora una persona così la manderei probabilmente a cagare con tante pacche sulle spalle per la pietà, in quel momento io, più fragile, vidi in lui qualcosa di mai visto prima.

Tornati a scuola mi trasferii al banco vicino a lui, cominciando a creare un'amicizia davvero disinteressata e bella. Io lui e un altro ragazzo (quello presente all'andata in nave, per intenderci) cominciammo anche a frequentarci fuori da scuola, ritagliandoci uno spazio fisso tutto nostro, sviluppando una vera e propria amicizia. Con l'arrivo della primavera cominciai quindi ad organizzare degli week end al lago, dormendo fuori e passando le giornate assieme. In quelle notti, neanche a dirlo, tutto si ripeteva uguale: volta dopo volta, notte dopo notte, stagione dopo stagione. M. di notte era un'altra persona, mi abbracciava, mi coccolava, mi faceva grattini, mi toccava, avvicinava le labbra alle mie quasi a volere abbozzare un bacio. Di giorno non se ne parlava, io sapevo che parlarne sarebbe stato inutile, che lui avrebbe negato tutto e si sarebbe rifugiato dietro il sempreverde "stavo dormendo". Eppure il rapporto andava avanti, sotto un velo di falsità e di ammirazione crescente, da parte mia. Ogni sera lo guardavo scendere dalla macchina e sognavo di baciarlo, di vivere qualcosa di importante con lui, così amorevole nella vita di tutti i giorni e così codardo nel metterla a tacere quando il sole tornava dopo una notte in cui il corpo non rispondeva più alla testa.

Non sapevo che mi stavo innamorando, che mi ero "innamorato". Lo pensavo tutti i pomeriggi, a casa non aspettavo altro di vederlo collegato a msn (avevo messo una sigla tutta sua per accorgermi anche da un'altra stanza di quando entrava) per parlargli. Poi arrivò l'estate del 2006, l'estate dei mondiali e della mia prima storia. Con una ragazza. Tuttavia l'infatuazione per M. rimaneva intatta, cresceva e mi avrebbe ben presto portato all'autodistruzione.

(continua nella 12^ e penultima puntata)

8 commenti:

  1. Aspettare qualcosa che non arriverà mai...
    Continuare a sperare che qualcosa cambi seppur, in cuor tuo, sai già che stai sperando in qualcosa che non c'è...quante volte, ho provato questa sensazione!
    Solo una domanda : quel chirichetto del kaiser, spero se la sia presa una bella bastonata da te, alla fine di tutto! Forse, dovrò aspettare la penultima puntata, per saperlo (sigh...)

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  2. Non pensavo fosse così malizioso Lolò :/

    Seb

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  3. Ma solo io, non avevo capito la maliziosità del biondo qui???
    Sono senza speranza, ormai :(

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  4. Ahaha Lolò è il massimo XD

    Ps: Ale, io ti proporrei veramente di fare un libro, altroche Moccia o New-Moon...

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  5. Liii-bro Liii-bro Liii-bro Liii-bro

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  6. sei capace di emozionarmi ogni volta che ti leggo!
    mi spiace aver saputo che la prossima sarà la penultima, fosse per me, vorrei scrivessi all'infinito.
    del resto, si poteva estrarre una serie dalla prima stesura o no?
    grazie ale.

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