Il liceo si rivelò una missione meno impossibile del previsto, riuscii a costruire i primi rapporti di "amicizia" e a mantenermi su un buon rendimento scolastico. In concomitanza col liceo, quell'anno, provai l'esperienza nefasta del Conservatorio. Dopo tre anni di violino durante le scuole medie (era una scuola a sperimentazione musicale) e vari incitamenti da parte dell'allora insegnante, tentai e superai la prova d'accesso per quella fantomatica "scuola della musica". Fu un anno orribile lì dentro, un professore assolutamente idiota e incompetente mi fece detestare il violino, altri corsi che giudicavo inutili e altri insegnanti iperesigenti o totalmente assenteisti, mixati con la mia patologica incapacità di "fare gruppo" mi resero la vita in Conservatorio un incubo. Pensate che ancora adesso ricordo con precisione il percorso dall'ingresso all'aula di violino, che facevo a piccoli passi (per prendere tempo) e col cuore a mille all'idea di come mi avrebbe trattato quel professoruncolo frustrato a cui piaceva fare il gradasso con un ragazzino.
lunedì 28 settembre 2009
BITA - ALE DAGLI ANNI '90 AD OGGI - 3^ PUNTATA
Il liceo si rivelò una missione meno impossibile del previsto, riuscii a costruire i primi rapporti di "amicizia" e a mantenermi su un buon rendimento scolastico. In concomitanza col liceo, quell'anno, provai l'esperienza nefasta del Conservatorio. Dopo tre anni di violino durante le scuole medie (era una scuola a sperimentazione musicale) e vari incitamenti da parte dell'allora insegnante, tentai e superai la prova d'accesso per quella fantomatica "scuola della musica". Fu un anno orribile lì dentro, un professore assolutamente idiota e incompetente mi fece detestare il violino, altri corsi che giudicavo inutili e altri insegnanti iperesigenti o totalmente assenteisti, mixati con la mia patologica incapacità di "fare gruppo" mi resero la vita in Conservatorio un incubo. Pensate che ancora adesso ricordo con precisione il percorso dall'ingresso all'aula di violino, che facevo a piccoli passi (per prendere tempo) e col cuore a mille all'idea di come mi avrebbe trattato quel professoruncolo frustrato a cui piaceva fare il gradasso con un ragazzino.
mercoledì 23 settembre 2009
lunedì 21 settembre 2009
BITA - ALE DAGLI ANNI '90 AD OGGI - 2^ PUNTATA
Ebbene sì, da piccolo mi sono macchiato dell’orribile crimine chiamato scoutismo. Un giorno sentii definire gli scout “un gruppo di bambini vestiti da cretini capitanati da un gruppo di cretini vestiti da bambini”. Non male, come definizione. Tuttavia, un po’ cattiva. Devo molto agli scout: i miei genitori mi invitarono caldamente (=obbligarono) a diventare un lupetto intorno alla fine delle scuole elementari. Ora, non posso dire di avere imparato a salvare una vecchina dal fuoco di un drago creato dall’incantesimo di uno stregone ateo e anti-cattolico, ma al mio gruppo d’appartenenza devo parecchie mie esperienze. Errata corrige: gruppi. Cambiai ben tre gruppi nella mia carriera scoutistica, sia per motivi esterni alla mia volontà (scioglimento del gruppo), sia per la mia propensione alle scene drammatiche (mi trovai a metà di un campo invernale ad essere detestato da tre quarti della parte femminile. I maschi, semplicemente, manco mi cagavano).
In quinta elementare partecipai al mio primo campo estivo. Meta designata: Cesenatico. Curioso, per degli scout, abituati a scorrazzare a tempo perso per le montagne. Del campo ricordo la struttura abbastanza fatiscente, il caldo mostruoso e l’estrema libertà che ci era concessa nelle cosiddette ore libere, che rendevano il campo estivo qualcosa di molto più somigliante ad una via di mezzo tra una villeggiatura e il servizio militare.
Fu durante uno di questi pomeriggi di libertà che diedi il mio primo bacio. I ragazzi più grandi avevano organizzato una sorta di gioco della bottiglia; io, dal canto mio, non capivo bene cosa avrei dovuto fare e come ero arrivato lì. Il gioco, leggermente diverso dalla versione classica, stava alternando casti bacini sulla guancia a più audaci baci stampo della durata di mezzo secondo mezzo. Nessuno osava andare sul “pesante”, io, a metà gioco inoltrato, me la stavo cavando con un bacino stampo dato alla versione bonsai di Miss Piggy dei Muppet, che inspiegabilmente sbavava per me, nonostante all’epoca dimostrassi attorno ai dieci anni appena compiuti. Improvvisamente, una ragazza della prima media (quindi un anno più grande di me), scelse me per un “bacio con la lingua”. Tremavo letteralmente. Per me, ragazzino di quinta elementare, accettare quella proposta in una sudicia stanza di un convento davanti agli occhi di una decina di persone significava sfanculare ogni immagine sognante del primo bacio, dimenticarsi di darlo alla “persona giusta” e togliere ogni magia a quell’evento. Rifiutare, tuttavia, mi avrebbe fatto sentire “lo sfigato di turno”, che partecipa ad un gioco e poi non sta alle regole – una cosa che per inciso ho sempre detestato – che si proponeva per il gioco “pericoloso” e poi si tirava indietro al momento decisivo. Accettai. Il bacio me lo ricordo molto umido, ma non malvagio. Produssi semplicemente tanta saliva quanto mia nonna durante l’ultimo cenone di Natale. Sapevo solo che avrei dovuto aprire la bocca e girare la lingua. La facevano facile, nessuno mi aveva spiegato come potevano due lingue provenienti da direzioni opposte trovare uno spazio senza bloccarsi reciprocamente la via. Sono pensieri, per un ragazzino al primo bacio. Staccatici dopo qualche secondo, ricevemmo contemporaneamente sguardi ammirati e critiche feroci (era pur sempre il puritano mondo degli scout cattolici).
Pochi attimi dopo il nostro “bacio”, i capi-scout fecero irruzione come la buoncostume (dovrebbe fare) a Villa Certosa. Capito cosa stavamo facendo, ci sciolsero avvertendoci che sarebbe stato meglio non replicare. Chi li avvertì? Valerio, proprio il mio sex-toy dei primi anni delle elementari, offeso per essere stato escluso dal gioco a cui voleva assistere senza partecipare, diede prova di grosse doti da spia.
Il fatto di essere stato scelto da una ragazza più grande mi dava al contempo buone e brutte sensazioni. Mi faceva sentire in colpa il fatto di avere sprecato così il mio primo bacio. Decisi perciò di utilizzare per la prima volta una tecnica codarda che avrei riutilizzato più volte nella mia vita. Finsi che non fosse mai successo. Il mio primo vero bacio sarebbe stato il prossimo, l’avrei dato ad una ragazza che meritava e tutto si sarebbe svolto come doveva.
Ad una ragazza, già. Il bambino precoce che aveva dato spettacolo fin dai primi anni di vita stava lasciando spazio ad un soldatino della normalità, che per paura di essere diverso si voleva omologare a tutti i costi ai suoi amici, ai suoi compagni, all’immagine del ragazzino medio. Tutto ciò che mi differenziava dalla massa covava dentro di me e doveva rimanere ben sopito, dietro all’immagine di ciò che dovevo essere, in nome di non si sa bene quale dovere.
Le scuole medie furono il crocevia di queste sensazioni. Le mie prime storie erano un classico di quegli anni. Bigliettino. “Ti vuoi mettere con me? Sì – No – Boh”. Nessuno ha mai risposto boh. Gli avrei sputato in faccia come farei a quelli che rispondono “non rispondo” durante i sondaggi telefonici. In caso di no, niente. In caso di sì, partiva una storia della durata variabile dai due giorni al mese, in cui ragazzo e ragazza non si rivolgevano la parola neanche per sbaglio, riuscendo pure a peggiorare il rapporto d’amicizia che c’era prima dell’invio del bigliettino. In effetti non se ne evince molto l’utilità. Come tutti, ebbi anche io le mie storie inutili con due o tre ragazze, esaurite così come erano cominciate: nel niente.
Ciò che non andava giù era il mio carattere: pur avvertendo in me un potenziale “signor carattere”, lo soffocavo per comportarmi nella maniera più normale possibile, per comportarmi come tutti si aspettavano mi comportassi, per dire agli altri ciò che si aspettavano dicessi loro.
Solo in un ambiente, ero completamente me stesso. Solo per un mese e mezzo all’anno mi sentivo bene, a mio agio, sicuro di me e di ciò che ero, seppure mi trovassi in piena fase di conoscenza di me stesso. Al lago era tutta un’altra storia. In uno sperduto residence sulle colline gardensi, dove tutto si ripeteva uguale e immutato anno dopo anno, agosto dopo agosto, ero riuscito a costruirmi, nel mio gruppo di coetanei, un’immagine di me che mi lasciasse la voglia di replicare, l’anno dopo, che mi arricchisse e facesse sentire più a mio agio con me e con gli altri. Sempre circondato da quelli che considero tutt’ora i miei due fratellini più piccoli, Betta e Marco, conosciuti a sei anni (quando loro ne avevano 5 e 4), imparai a tirare fuori il mio carattere, a confrontarmi con miei coetanei, a capire più cose di me.
Cosa comportava questo nell’anno a venire? Niente. A ripartire da Settembre tornavo a chiudermi in me stesso, a mettere via quella parte di me che avevo imparato a scoprire schermandola con le mie prime dosi di caustica ironia che imparai a dosare per ripararmi da un mondo in cui continuavo a non sentirmi a mio agio. C’entrava la mia mancata accettazione? O era a livello troppo inconscio per essere capita? Mi sentivo diverso e non capivo che dovevo semplicemente realizzarlo, lottavo per non essere messo da parte dagli altri, per essere un ragazzino come tanti, che giocava a calcio, faceva a botte e correva dietro alle ragazze. Eppure una sensibilità diversa sembrava battere in me, in un contesto come quello scolastico non avevo possibilità di emergere, volevo solo non affondare.
Cosa cambiò le carte in tavola? Uno schianto in bicicletta, durante un’estate che cambiò molte cose, che mi fece capire su cosa avrei dovuto lavorare per diventare l’Ale che sono adesso. Poco prima, il passaggio alla scuola superiore e il primo vero bacio mi resero davvero consapevole dell’adolescente che volevo diventare. Rimaneva da aggiustare qualcosina, ma era questione di tempo…
continua...
domenica 20 settembre 2009
FINE DELLE VACANZE
lunedì 14 settembre 2009
BITA - ALE DAGLI ANNI '9O AD OGGI - 1^ PUNTATA
Quando mi si chiede quando ho capito di essere gay rispondo che lo so da sempre. E aggiungo che ne ero ben consapevole dal momento in cui giocavo a far accoppiare l’uomo ragno e ciclope degli X Men. L’aneddoto, di solito, fa sorridere. Il problema è che è assolutamente reale. Avevo decine di omini e giocavo a farli combattere tra di loro: varie trasformazioni di batman, i personaggi di Street Fighters, i Biker Mice e tutta la congrega di cartoni del pomeriggio di Italia 1 opportunamente divisi in buoni e cattivi. I nostri supereroi omoerotici, naturalmente, erano tra i buoni (non avevo ancora capito la cattiveria che si cela dietro a buona parte della comunità LGTB evidentemente). Ciclope e l’Uomo Ragno, pertanto, finita la battaglia che li vedeva vincenti, si ritiravano nei loro alloggi e davano il via a quelle che avrei scoperto essere le scene clou di un film tipico della Bel Ami. Il bello è che tutto ciò avveniva con la massima naturalezza e senza il minimo di malizia. Oddio, non erano propriamente scene da Domenica Disney, però avevo dalla mia la scusante di non sapere cosa stessi facendo. Era, probabilmente, un impulso innato.
Tutto ciò non mi vietò, all’asilo (sì, ero un bambino abbastanza precoce), di trovarmi la prima fidanzatina di copertura. Intendiamoci, non sapevo né cosa fosse una copertura né cosa fosse una fidanzatina, ma visto che io e Chiara, sulla cui testa alla Charlie Brown preferirei non infierire, eravamo molto carini assieme, i nostri genitori trovavano giusto organizzare cene tutti assieme sperando che in camera di Chiara io e lei si giocasse al dottore. In realtà i giochi più gettonati erano la marcia dei pupazzi e il the di Barbie e Ken.
In tal senso l’approdo alle scuole elementari mi aprì un mondo. Il primo compagnuccio di banco, Valerio, fu anche il primo amichetto che portai a casa, tutto contento. Era il mio compagno di giochi, ci trovavamo benissimo, litigavamo e facevamo pace, i nostri genitori erano diventati amici e tutto proseguiva come doveva proseguire. Infatti, la seconda volta che venne a casa mia, Valerio era completamente nudo, tanto quanto il sottoscritto, adagiato sotto di me. Non so se questa pratica mi fosse stata suggerita proprio da Ciclope e Spiderman, fatto sta che i nostri incontri inconsapevolmente erotici proseguirono per tantissimo tempo. E si sa, quando si è piccoli si è ignari delle conseguenze, pertanto si è anche decisamente incoscienti. Tutti questi incontri di nudismo in cui strusciavamo felici i nostri corpi fanciulleschi, avvenivano con i miei o i suoi genitori nell’altra stanza, col rischio di essere beccati da un momento all’altro. Ho detto rischio? Certezza. Mia madre ci vide più volte; una sera finì per raccontare tutto al padre di Valerio che per tutta reazione cercò di spaventare il figlio, raccontandogli di strane malattie che ci si poteva passare con queste pratiche. Mi aveva preso per un ricettacolo di malattie veneree, probabilmente. Neanche io, però, avevo le idee chiarissime: una sera chiesi a mio padre se era possibile, per due uomini, avere un figlio. Mi spiegò di no, aggiungendo curioso: “perché? Vuoi fare un figlio con Valerio?”. Qualche anno più tardi avrebbe capito che non era il caso di scherzare sull’argomento.
Un pomeriggio estivo a casa di Valerio si trascese: lui mi legò nudo nell’armadio di camera sua e suo padre finì per trovarmi e slegarmi. Forse però ero troppo piccolo per definirla la figura di merda peggiore della mia vita. O forse è perché ne avrei fatte altre anche più grosse, chissà. Il punto è che io e Valerio decidemmo di chiudere la nostra relazione sessuale col piglio risoluto tipico di Carrie e Mister Big. Per la cronaca, Valerio ora è assolutamente eterosessuale, per quanto ne sappia io. Certo, forse il cambio di città e regione e una quindicina d’anni di psicoterapia l’avranno aiutato, ma non saprei dirvi di più.
Conclusa la storiella di Valerio, provai a ripetere il tutto con un compagnuccio di classe peruviano. Anche in questo caso mio padre mi beccò ancora prima di levarmi le mutande e, probabilmente, cominciò ad arrovellarsi su cosa non funzionasse in me.
Rivedendomi adesso capisco che era l’incoscienza a farmi agire così: seguivo i miei impulsi senza dargli un nome o una connotazione d’etichetta, come si farebbe ora. L’età della coscienza, dalla quarta elementare in poi, infatti, mi portò a rimettermi in discussione e a riallinearmi con uno stereotipo più convenzionale: al ragazzino piacciono le ragazzine. Se non gli piacciono, lavora per far sì di farsele piacere. Fu questa prima rudimentale opera di autoconvincimento che mi portò, in quinta elementare, a dare il mio primo bacio eterosessuale.
A chi diede più fastidio? A Valerio, naturalmente, pronto a vendicarsi come neanche il più accanito degli ex...
(continua)
venerdì 11 settembre 2009
TARDE VACANZE
Il sottoscritto parte nel tardo pomeriggio per questo bel luogo di vacanze. Sarà anche Settembre inoltrato, ma si spera di trovare bel tempo, nella ridente Sardegna. Io e il mio amore staremo via otto giorni in tutto, domenica prossima saremo di ritorno, confidando di avere ripreso almeno un paio di tonalità d'abbronzatura.
mercoledì 9 settembre 2009
BITA - DA LUNEDI' SU QUESTO BLOG
E ancora... il primo bacio, folli botte di coraggio, ciellini, etero repressi, gay rifiutati, litigi, chiarimenti...
da lunedì, per tredici settimane.
lunedì 7 settembre 2009
NON HO NIENTE CONTRO I MANCINI
Sono stufo. Stufo di questa italietta omofoba. Inutile dibattito in tv dove si tira fuori il discorso del pudore, dello "stare a casa propria" e dell'esibizionismo, per giustificare gli attacchi omofobici. Oggi ho discusso con un amico gay, il classico "anti pride" e "antichecche". Parlava di cose che non conosceva, esattamente come tutti gli ignoranti, i violenti, i razzisti. Ma se i primi nemici all'interno della comunità gay sono i gay stessi, che speranza si ha di ottenere qualcos? Cosa si può fare per cambiare le cose? Ditemelo davvero: cosa si può fare per cambiare le cose?
giovedì 3 settembre 2009
00.07
Esame domani, livello di preparazione pesantemente inferiore al 50%. Salvo sgradevoli sorprese slitterò al prossimo lunedì riuscendo nell'impresa in cui riesco meglio: rimandare. Avrò avuto sfiga, stamattina, ma sui quattro compagni di corso incontrati oggi in università, tre erano lì per consegnare la tesi. Si laureano a ottobre, han finito tutti gli esami prima dell'estate, io ne ho ancora tre. Who cares? Sono più indietro di altri, e non è una bella sensazione, per me.
Sono giorni di violenze omofobe, sembra di andare indietro invece di andare avanti. La mia immaginazione (forse) mi ha fatto vedere paura negli occhi di un ragazzo gay, questo pomeriggio in metro. Dove si può arrivare se la nuova società di stampo omofobo (mai punito, in alcuni casi giustificato) spinge per un'ulteriore ghettizzazione dei gay e per una loro vita sempre più nascosta? Da nessuna parte. Come evitarlo? In nessun modo: le associazioni gay fanno schifo, i gay stessi sono divisi in inutili fazioni tipo sinistra/destra, checche/insospettabili, attivi/passivi, dichiarati/nascosti. E tutti sono convinti di essere "la versione giusta" di come un gay dovrebbe essere.
Stanotte dormo da solo, non ne sono mai stato capace e credo non lo sarò mai. Mi spaventa tutto, al buio tutto assume confini più incerti e indefiniti. La razionalità va a puttane, non riesco a prender sonno. Ogni rumore è un dramma, ogni sensazione un incubo. Più razionalmente, mi atterra la solitudine. Non riuscirei mai a dormire da solo. Mi sembra di essere lasciato al mio destino. Consapevolezza continua che da solo non mi basto.
Domani ho un concorso e ho paura. Di perdere, di far brutta figura, di non essere all'altezza delle aspettative di chi verrà a vedermi. Di steccare, di sbagliare qualcosa. Di essere deludente, sì.
Sono stufo di ricredermi sulle persone, sempre in negativo. Di essere convinto di avere trovato un(') amico/a e di trovarmi con un pugno di mosche in mano, con persone false, con approfittatori, con persone che sembrano oro e sono plasticaccia. Che chiede d'esser modellata, tra l'altro. Di essere l'unico che investe in qualcosa che non vale la pena.