mercoledì 8 agosto 2012

LE MIE OLIMPIADI

La prima cosa che mi esalta è il fatto che siano ogni quattro anni. La ripetitività c'è, ma è resa evento. Ogni Olimpiade accade in una vita diversa. Atlanta praticamente non la ricordo, a Sydney avevo 13 anni, giocavo coi Pokemon e andavo a scuola in tuta perché ai miei tempi non c'era Facebook e l'obbligo di essere già sessualmente appetibili. Ad Atene ne avevo 17 ed ero appena entrato nella mia adolescenza, ma andavo ancora in vacanza con i miei e non avrei cominciato realmente a vivere prima che il computer in camera mi aiutasse a farmi capire dal mondo che non potevo incontrare nella vita di tutti i giorni. A Pechino ne avevo 21, ero nel pieno della laurea triennale e della mia prima (su due) storia d'amore importante. Da lì a qualche mese mi sarei trasferito a Milano per essere più vicino all'università e, involontariamente, al mio io dell'olimpiade successiva. Oggi, a quattro anni esatti di distanza, quella casa si sta per chiudere alle mie spalle e tante cose nuove mi attendono al termine dell'estate, al termine di queste nuove Olimpiadi.

Se per centinaia di migliaia di atleti e volenterosi sparsi per tutto il Pianeta le Olimpiadi significano un obiettivo di vita, un momento di gloria da inseguire, raggiungere e agguantare nel momento qui ed ora più intenso che ci sia, per noi comuni spettatori significa anche questo: assistere, guardarsi indietro e, se possibile, guardarsi avanti, per chiedersi dove si sarà.

Se andrà tutto normalmente, a Rio 2016 avrò 29 anni e l'università sarà ormai un lontano ricordo. A un passo dai temibili trenta la mia vita avrà preso una direzione importante e definitivamente adulta, con sicuramente tante strade nuove da percorrere ma pochissimi collegamenti a ciò che è stato, se non per quanto riguarda i ricordi.

PS: il post originariamente voleva essere tutt'altro, ma mi sono perso via a parlare di me. Ci riproverò.