domenica 24 ottobre 2010

AVVISO

L'ottava puntata di Bita (e tutte quelle dopo) andranno in "linea" da lunedì prossimo. Per 'sto giro ci si prende una settimana di pausa.

Se avete commenti (e insulti) sulla prima parte di stagione potete lasciare dei commenti a questo post :)

lunedì 18 ottobre 2010

BITA 2 - IL 2007 CHE CAMBIO' TUTTO - 7^ PUNTATA

Mentre il mio nome mi riecheggiava nelle orecchie e smettevo di colpo di capire cosa mi stesse succedendo attorno, cercavo di seguire scompostamente l'autrice che mi aveva appena chiesto di rimanerle dietro. Dopo una cinquantina di passi mi trovai di fronte una porta bianca semiaperta. Dietro a quella porta, il corridoio più famoso della televisione, quello con tutte le porte numerate e le vetrate che danno sulle stanzine. Il corridoio della Scuola di Amici. Mi guardavo attorno allibito, incredulo e stordito. Quel corridoio visto mille volte in televisione, in streaming sul computer, e io lì. Mi accompagnò e lasciò nella cosiddetta sala relax, dove altre persone, per terra e attorno a un tavolo, compilavano diversi fogli. Mi fu dato il mio, mi fu fatta una foto da allegare. Il primo bisogno fu quello della pipì. Sì, ho fatto pipì nel bagno della sala relax della scuola di Amici. Il secondo fu quello di chiamare N., che nel frattempo aveva raggiunto D. al suo paese.
"Ehi, indovina un po' dove sono?"
"Eh boh, dove" - rispose distrattamente
"Sono nella scuola, ho passato il primo provino"
"Ah... grande!"
"Sei con D.?"
"Eh sì"
"Vi siete baciati?"
La domanda mi uscì spontanea, senza possibilità di tenerla dentro. Vuoi l'adrenalina, vuoi la paura della risposta, glielo chiesi così, direttamente. Tergiversò, mi fece capire che c'erano andati vicini. E la mia mente uscì da quella scuola per volare parecchi chilometri a nord-ovest, con l'ansia e la solita gelosia che mi dilaniava da dentro, unita al senso di impotenza di non poter fare niente per impedire che succedesse qualcosa.

Il secondo provino arrivò intorno alle nove di sera. Mangiai qualcosa in sala relax, scarti di pizza portataci per l'occasione. Chiamarono il mio nome e seguii l'autore in questione. Il provino si tenne nello studio del sabato pomeriggio, quello che qualche ora prima mi aveva visto superare il primo in mezzo a tantissime persone. Ora no, più nessuno sugli spalti, solo io in mezzo allo studio e una scrivania di fronte a me, con delle persone sedute dietro ad essa. Tanti personaggi variegati. Ne conoscevo buona parte: Raffaella e Lalla Sempio del GF2, autrici storiche di Maria De Filippi, Fabrizio Palma per il canto, Franceschina per la danza, Patrick Rossi Castaldi per la recitazione.
"Ciao Alessandro". No ora, dico. Vi rendete conto i professori di Amici che vi chiamano per nome e vi fanno un provino da soli? Ecco. Cominciamo dal canto. Ma che, davvero davvero state parlando con me? Cantai "Ti scatterò una foto" di Tiziano Ferro. Bene, Palma mi disse che era rimasto impressionato dall'intonazione, che avrei solo dovuto metterci più trasporto. Sì, scusami se sono tipo allibito dal posto in cui sono. Sorvolerei sulla parte di danza, l'imbarazzo mi impedirebbe di chiudere questa stagione di Bita. Recitai un pezzo di recitazione letto su un foglio datomi da Castaldi e ricevetti in quell'occasione il complimento più rumoroso. Ero "portato per la recitazione". Fu tutto così lento e veloce insieme. Lalla mi rimproverò il mio non vedermi convinto.
"Sì, sarà che è un po' un'assurdità vedervi tutti in televisione per sei anni e poi trovarmi di fronte a voi e dovervi perfino rispondere rendendomi conto che state parlando con me".
"Vabbè Alessandro, ci vediamo allo stage, ok?"

Passato. Passato anche il secondo provino. Follia pura. Lasciai la scuola e corsi fuori da Cinecittà senza sapere dove stavo andando. La mia amica e un altro ragazzo che avevo conosciuto il pomeriggio mi videro da lontano e cominciarono a urlare. Mi gettai tra le braccia della mia amica, un'emozione indescrivibile. Per tutto il viaggio di ritorno fino al camping non pensavo ad altro: raccontavo tutto, anche i dettagli più insignificanti, non avevo mai provato niente del genere.

Certo, c'era N., nella sua prima serata e nottata nella città di D., con la possibilità di stare tutta la sera con lui. La mattina dopo mi confermò quello di cui avevo avuto il terrore per tutto il tempo. Si erano baciati, ed era stato bellissimo. Una botta incredibile, a fare da contraltare alla bella giornata precedente. Fu anche il giorno del ritorno a Brescia, con tante cose da raccontare a casa.

Fui richiamato per il terzo provino una settimana e mezza più tardi. La mia amica non poteva accompagnarmi, così venne mia madre. Davvero, ero una di quelle diciassettenni che vogliono fare le veline e si fanno accompagnare ai provini dalle mamme. Con la differenza che mia mamma non era vestita in modo più giovane di me, tutt'altro. La presi soprattutto come un'occasione per passare del tempo con lei, visto che non avevo alcuna aspettativa guardando verso il provino in questione.

Fu di mattina, fui puntuale e mi trovai fuori con gli altri ragazzi cantanti arrivati a quel punto. Dentro la scuola ci divisero in gruppi. Il nostro rimase un po' fermo a parlare nell'aula di danza classica per un'oretta circa, finchè ci chiamarono. Nessun provino individuale, era tutto il nostro gruppo ad essere stato convocato nel solito studio del sabato. Nel gruppo c'erano due ragazzi che sarebbero diventati Antonio Marino e, soprattutto, Tony Maiello della prima edizione di X Factor. Di quest'ultimo, poi anche vincitore di Sanremo Giovani 2010, ricordo la tendenza al silenzio e il cappellino, con l'autore che lo spronava a parlare, a litigare, e lui che non andò oltre delle ottime esibizioni. Evidentemente Amici non faceva per lui.

Nè per me, visto che buttai sostanzialmente via una grossa opportunità che la vita mi pose davanti. Pessima scelta di canzoni e soprattutto pessima attitude in un provino in cui, nemmeno troppo velatamente, veniva semplicemente chiesto di litigare e mostrare carattere. Io, che ero andato lì con lo spirito di chi si sente un miracolato, rimasi sull'educato-andante, rispondendo a domande quali "secondo te come ha cantato lui?" o "come ti posizioneresti in un'ipotetica classifica" con risposte tipo "benissimo, ha una voce eccezionale" o "no, io penultimo o ultimo, loro sono molto più bravi". Inutile dire che la sincerità non pagò, e non fui richiamato. Peccato, ma fu una bella esperienza. E dato che era l'edizione che avrebbe incoronato Marco Carta pensate un po', avrei potuto, da lì a nove mesi, essere io a gridare come un matto "mammaaahovvintuuuu".

Roma era comunque nel mio cuore. Nel giro di un anno, tra gite scolastiche, visite coi miei genitori, provini e fuitine per vedere N., già sei volte ero andato nella città eterna. Una città che mi ha sempre dato tanto, in termini di emozioni e di persone.

C'era N., però, al centro di tutto. E dopo Giugno furono lunghi i mesi a venire. La gelosia aumentava, le occasioni di vederlo diminuivano in modo inversamente proporzionale ai litigi e alle discussioni. Se da un lato non avevo più occasioni per rivederlo, dall'altro avevo la forza di un'infatuazione che era diventata ossessione e malattia. E fu quella forza assurda e inarrestabile che mi spinse, nei primissimi giorni di Agosto, a fare la pazzia più grande di sempre.

(continua)

sabato 16 ottobre 2010

QUELLA STRONZA DELLA BALLERINA

Lo prometto, utenti-non fan di Bita, presto il blog tornerà ad essere aggiornato anche in giorni diversi dal lunedì mattina.
Ad esempio. Solo io odio questa stronza che compare in ogni sito web e che gira in senso... ecco, il punto è quello, in che direzione la vedete girare voi?

Il problema di sta stronza è che è un'illusione ottica. La ballerina gira effettivamente in entrambe le direzioni, a seconda di come la si guarda. E' la cosiddetta figura ambigua, come quella della vecchia e della giovane che si nascondono dietro a questa immagine.

Il problema è che fino a qualche giorno fa io la vedevo girare sempre in senso orario (il che non vuol dire niente, non credete alla teoria dell'emisfero del cervello dominante). Il trucco, in effetti, è coprire la parte superiore della stronza con la mano e fissare solo le gambe... guardando la gamba che gira (quella sollevata in aria, per intenderci) e immaginando che passi dietro quando eravamo abituati a vederla passare davanti e viceversa, il giro cambierà posizione e togliendo la mano anche la ballerina si sarà adeguata all'altro giro.

E con un po' di allenamento riuscirete a farla girare in entrambi i sensi quando vorrete. E con ulteriore allenamento potrete anche farla cadere a testa, sanguinante. Giuro.

lunedì 11 ottobre 2010

BITA 2 - IL 2007 CHE CAMBIO' TUTTO - 6^ PUNTATA

Il mese che venne dopo la tempesta di fine Aprile lo ricordo abbastanza distintamente. Ricordo frequenti litigi tra me e N., ricordo la mia totale alienazione dai normali rapporti umani con amici e conoscenti. Chiuso in casa in ogni momento in cui potevo, cercavo anche di evitare i viaggi a Milano, per quanto possibile, visto che ero impossibilitato a rimanere al pc e, quindi, a parlare con lui. La situazione si estese di fatto anche al rendimento universitario: cominciai a rimandare esami, a rinunciare ad appelli che probabilmente mi avrebbero risparmiato l'anno fuori corso che è poi arrivato puntuale prima della laurea. Tutto per lui, per N., per potergli parlare, su messenger o via sms. Raramente per telefono. In quel periodo cercammo di rielaborare tutto ciò che era successo in quel letto, a fine Aprile. Parlammo del lato sessuale, cercammo di dare spiegazioni e darci nuove accezioni di amicizia che non esistevano in natura, ovviamente. Eravamo "migliori amici con attrazione", ma null'altro, visto che il suo rapporto con D. andava a gonfie vele e visto che tra di noi "non ci potrebbe mai essere nulla di più". E gli davo ragione, per paura di perderlo. Mi ero davvero auto-convinto di non volere niente di più da lui, che volevo solo essere suo amico, e che ciò che era successo poteva capitare, c'era attrazione, ma nulla di più. Poi, però, quando venivo a conoscenza del fatto che lui e D. si erano sentiti per telefono, o quando leggevo qualche messaggio personale dedicato al suo pseudo-ragazzo, stavo male per ore intere.

L'occasione per rivedersi fu Giugno. Io sarei sceso a Roma, udite udite, per fare un tentativo coi provini di Amici, che iniziava in quei giorni i preparativi per la sua settima edizione. Provai pure l'anno prima, ma tutto si infranse dopo dieci secondi in cui reggevo quel microfono più grande di me. E comunque no, bastava vedere come andai conciato, per farmi capire che avrei dovuto desistere subito, in quel 2006. Ma il 2007, come detto, poteva e doveva essere una nuova occasione. Convinsi la mia "amica di canto" di sempre, e fissammo la data del provino. Ovviamente, fu il pretesto per attaccarci qualche giorno con N. Lei ci avrebbe raggiunto solo dopo un paio di giorni dopo, in occasione del provino.

La solita doccia delle 6, il solito treno con le solite fermate e il solito trolley pieno di vestiti e speranze che quella volta fosse diverso. I soliti messaggi sul cellulare a raccontarci l'emozione della notte prima, delle ore prima. Quella volta, però, qualcosa fu diverso. Mentre il mio iPod mi teneva compagnia in quel viaggio in solitaria verso Roma, guardando il cellulare in attesa di suoi messaggi che non stavano più arrivando da un po' di tempo, vidi una telefonata di Fra di Roma. Anche quella volta, lei ci aspettava a braccia aperte, per passare un po' di tempo con noi, essendo bene a conoscenza di quanto il mio sentimento per N. stesse crescendo giorno dopo giorno. Risposi.
"Ohi Ale, tutto bene il viaggio?"
- Sì sì, tra un paio d'ore ci sono
"Caspita però, che sfortuna che ha avuto N..."
Mi si gelò il sangue, non sapendo di cosa stava parlando. Fu quindi lei, stupita, ad avvisarmi che N. non era sul treno che lo avrebbe dovuto portare a Roma, ma in stazione a Foggia, ad aspettare di informarsi per sapere se ci fosse qualche altro treno che gli potesse permettere di arrivare nella capitale prima di sera. Semplicemente, arrivato a Foggia dopo un'oretta di pullman, N. aveva clamorosamente sbagliato treno, accorgendosene dopo un paio di fermate e scendendo alla prima fermata disponibile per cercare poi di tornare a Foggia.

Crollai. Stavo andando da solo a Roma, ri-litigando con i miei genitori che non concepivano questo atteggiamento morboso a quello che doveva essere solo un amico (eravamo in pieno coming out, loro speravano ancora in un mio cambiamento), affrontando per conto mio tutte le difficoltà e tutte le responsabilità del caso e lui che faceva? Sbagliava treno, si dimostrava ancora una volta inadeguato, incapace di vivere e di cavarsela da solo, lasciandomi completamente per conto mio, nella città più grande d'Italia. E in più, senza nemmeno dirmelo. Messo giù il telefono, lo chiamai e lo insultai in ogni lingua. Sei un idiota, non sai stare al mondo e non hai nemmeno avuto le palle di dirmelo. Quei giorni cominciavano nel modo peggiore possibile.

Non ci sentimmo più, arrivai a Roma e Fra venne a prendermi in stazione. Rimanemmo un po' lì a parlare, io non calmavo la mia delusione, ma ebbi la possibilità di sfogarmi. Restammo così un po' di ore, finchè lei dovette tornare a lavoro e io cominciai a dirigermi, da solo, verso il solito camping, gli stessi bungalow dove meno di due mesi prima era successo tutto. Metro, autobus, andai un po' ad occhio, un po' chiesi a Fra. Ci arrivai, carico di valigie e solo, a fare check-in anche per lui, spiegando che era una camera per due ma che lui sarebbe arrivato 'dopo'. Per dei 'problemi'. Entrai da solo nel bungalow. Tutti quei momenti che mi ero immaginato vivere con lui, un film che non si sarebbe mai svolto. Misi a posto le mie robe e rimasi da solo, con la valigia semi-aperta e un silenzio che mi faceva malissimo.

Mi chiamò un'utente del mio sito, che spesso mi aiutava a gestire i forum e molte volte mi era stata vicina nei problemi coi miei e in quelli annosi con N. Ascoltò il mio sfogo, finchè dandomi i suoi soliti consigli mi fece scoppiare a piangere in modo disperato. Non era quello che mi aspettavo di vivere, non era giusto che fosse così. Mi lasciò sfogare, mi consolò, ma io non mi placavo nemmeno un po'. Piansi ancora più disperato, mentre lei, inerme, mi disse "ti prego, Ale, calmati, non sai quanto mi fa star male sentirti così". Ma l'unica persona che poteva calmarmi era chissà dov'è, chissà se in viaggio, chissà se in procinto di raggiungermi. Non si era più fatto sentire. Mi tenne compagnia un'ora, quella voce amica, che non ebbi mai modo di vedere nemmeno in fotografia. Lei ora non c'è più, un tumore se l'è portata via nei primi giorni di Marzo di quest'anno, poco dopo la fine del 'suo' Grande Fratello. Non avevamo più buoni rapporti, ma quella telefonata con lei (insieme ad altre) mi è rimasta nel cuore, e mi sarebbe piaciuto che lo sapesse.

Ricevetti un messaggio di N. nel tardo pomeriggio. Diceva che aveva trovato un treno, chiedeva se lo potessi andare a prendere in stazione. Manco a dirlo non ci pensai nemmeno, non gli risposi. Arrivò per l'ora di cena, poco prima che Fra ci venisse a prendere per andare a mangiare. Non lo degnai di uno sguardo, lui non mi parlò, entrando nel bungalow. La situazione era surreale. Si preparò velocemente, io andai direttamente alla macchina di Fra prima di lui. Non parlammo per tutta la cena, Fra cercò di smorzare la tensione, ma fu una cena quantomeno imbarazzante. Ci riaccompagnò al bungalow e fermò la macchina davanti al camping, chiedendo di parlarci, ricordandoci che avevamo poco tempo e che era stupido sprecarlo così. Ringraziandola, uscimmo dalla macchina e andammo al bungalow.

Silenzio, ancora e sempre più forte. Non mi parlò, non gli parlai. Io andai nel mio letto e lui nel suo, in silenzio. Manco a dirlo, fui io a romperlo. Lui rispondeva a monosillabi, mi accusava di non averlo capito, che si sentiva sperduto in mezzo al nulla e non sapeva cosa fare, che io avevo solo saputo incazzarmi e riempirlo di parolacce. Non seppi rispondergli, riuscì perfino a farmi sentire in colpa. Fu in quell'occasione che mi informò che dopo quei tre giorni assieme sarebbe sceso da D., nelle marche, per passare almeno 24 ore da solo con lui. Mi incazzai a morte, gli dissi che ero stufo di essere l'antipasto al piatto principale, ma poi cedetti. Avevo bisogno fisicamente di un suo abbraccio, era l'unica cosa che mi avrebbe potuto far stare meglio. E anche lui lo voleva, ma non avrebbe mai osato chiedermelo.

Avvicinai il mio letto singolo al suo, lui mi fece posto e ci abbracciammo, come un mese e mezzo prima, come se il tempo non fosse passato. Tra coccole e abbracci ci addormentammo, salvo svegliarci qualche ora dopo e lasciarci andare al solito ormone, che io ero bravo a scatenare e lui era meno bravo a celare. Ancora una volta si ripetè quello che già era successo ad Aprile, ma stavolta lui non presentò nessun senso di colpa alla fine. Ci rivestimmo e basta, come se niente fosse.

La mattina dopo arrivò la mia amica. Andammo a prenderla in stazione, mangiammo qualcosina assieme al McDonald's di Termini e tornammo al bungalow. La sera rimanemmo tutti assieme, con Fra, per una cena serena, che mi ricordò quella del venerdì di aprile. Tornammo tutti e tre nello stesso bungalow: la mia amica dormiva sopra N., io e lui sotto, ma in letti separati. Tuttavia, dopo qualche ora, non resistetti e andai nel letto di N., per qualche abbraccio dell'ultimo minuto. Ci scrivemmo sul cellulare, non potendoci parlare, tante cose dolci che mi rasserenarono nonostante il giorno dopo, ne ero cosciente, lui avrebbe rivisto D. Da soli. A casa sua.

La mattina del provino fu più fredda del solito. La sveglia anticipata, la tensione, la non-voglia di salutare N. Lo dovetti fare in metro, mentre lui scendeva a Termini e noi proseguivamo fino a Cinecittà. Cercai di trattenere le lacrime, mentre le porte si chiudevano e io rimanevo da solo, con la mia amica, a cercare di concentrarmi per il provino. Arrivammo puntuali fuori dai cancelli di Cinecittà, in attesa di poter entrare. Mi arrivò un messaggio di N., che mi citava una canzone, ancora una volta.

"io vorrei darmi da fare
forse essere migliore

farti scudo col mio cuore
da catastrofi e paure"
[Bruci la città - Irene Grandi]

Sorrisi al messaggio. Mi concentrai sul provino, cercando di non pensare al fatto che lui, da lì a poco, avrebbe visto D. Entrammo e ci preparammo per il provino. Tra le canzoni tra cui scegliere, optai per Moondance di Bublè. La cantai, mi venne anche relativamente bene. Il mio gruppo uscì dallo studio, in attesa del verdetto. Uscì l'assistente di studio, io ero tranquillo, avevo già vissuto quella fase ed ero pronto ad un normalissimo "grazie di averci provato". Invece lei chiamò il mio nome: "Tommaso e Alessandro vengono con me, gli altri grazie". Rimasi allibito, non reagii neanche. La mia amica uscì in quel momento, mi venne incontro e si rese conto della situazione, urlandomi: "Aleeeee sei passatoooo! Grandeeee". Ancora stordito, seguii l'assistente di studio e mi trovai di fronte la scuola. Lì, subito dietro allo studio, c'era la scuola di Amici. E io ne stavo per varcare la soglia. Stavo entrando nella Scuola di Amici.

(continua)

lunedì 4 ottobre 2010

BITA 2 - IL 2007 CHE CAMBIO' TUTTO - 5^ PUNTATA

Io sbuffavo, lui sbuffava. I suoi occhi si erano fatti lucidi, mentre mi guardava in attesa della prima mossa. E io attendevo la sua, perchè non era giusto fossi io a farla. Illuso. Lo guardavo mentre le nostre canzoni scorrevano in riproduzione semi-casuale, ripetendosi di quattro in quattro.

Sei come vorrei che fossi io,
amore mio, senza paure,
fai sempre di me quello che vuoi
a modo mio senza rancore
se cado giù sei mia
risalgo e tu sei mia
lascia che sia come vorrei
ogni mio istante
[Ogni mio istante - Negramaro]

Poi fui io. Alzai la testa e il bacino, mi chinai verso di lui. Mi guardava con un'atarassia quasi irritante; ci avrei messo un po' ad identificarla come paura. Come suo modo di incanalare la paura. Lo guardai e lo abbracciai. Lo abbracciai forte, mettendogli il mento sulla spalla. Poi, come se le due cose fossero naturalmente collegate, cominciai a piangere a dirotto. Le lacrime scesero spontanee e assolutamente dirompenti. N. cercava di calmarmi, mentre io piangevo sempre più disperato, sciogliendo a quel modo la tensione di quell'ora senza abbraccio. Si commosse anche lui, mentre io piangevo e, pian piano, mi calmavo. Andammo avanti così, in quell'abbraccio umido di lacrime, mentre le nostre quattro canzoni ripartivano una dietro l'altra, per un tempo non troppo precisato. Quando subentrò il dormiveglia, rimanemmo abbracciati, vicini e stremati. Ci svegliammo qualche ora dopo, decidendo di metterci a letto seriamente, ma rompendo in modo fastidioso quella cosa perfetta che si era creata. Ci mettemmo il pigiama e ci preparammo per andare a dormire.

Quella notte è rimbalzata nella mia testa per mesi, se non anni. Le coccole proseguirono e si fecero fisiche. Lui rispose positivamente alle mie carezze, io pure. Raggiungere il passo successivo fu un attimo, e l'affettività diventò attrazione. Sfogato il momento, ci sedemmo sul letto, in silenzio. Lui era sconvolto, ammise di sentirsi una merda, perchè da lì a poche ore avrebbe visto D., il ragazzo con cui flirtava da mesi e con cui si diceva pronto a cominciare una storia, e intanto era successo quello che era successo con me. Pianse, si alzò incazzato nero, sfogando la sua rabbia con varie sigarette fuori dal bungalow. Io rimanevo dentro, incredulo e confuso.

La mattina dopo risuccesse, praticamente uguale, ma con meno drammi. Mi tenne il broncio, quello sì, e la situazione rimase uguale anche per tutta la giornata. Verso sera andammo in centro per prendere il regalo per Fra, che da lì a poche ore avrebbe compiuto gli anni. Lo facemmo senza parlare, in metro senza parlare, in centro senza parlare, nel negozio di profumi senza parlare. Il broncio rimase circa fino a sera, quando Fra e una sua amica ci vennero a prendere, per una seratina tranquilla in zona Pincio. La serata si svolse in modo perfetto, fu divertente, rilassante, l'aria primaverile dava quasi uno scorcio di caldo. Fu perfetto, tutto. Poi ci riaccompagnarono al bungalow. Tempo di prepararci, abbracciarci, e la storia si ripetè uguale. Meno scene questa volta da parte sua, nonostante l'arrivo di D. fosse a quel punto previsto poche ore dopo.

Quel sabato che non avrei mai voluto arrivasse arrivò puntuale, e con esso tutti i presenti al raduno-compleanno di Fra. 4-5 persone (tra cui D.) arrivarono una dopo l'altra in stazione. Quando fu il turno di D., lo odiai da subito. Odiai il suo non trovarci al binario, il suo andare verso il fondo del treno invece che verso l'inizio del binario, odiai tutto di lui. Capii solo dopo che si trattava della prima vera forma di gelosia. Due chiacchiere con tutti e ripartimmo verso il camping, dove cominciò il peggio di quella quattro giorni. Come previsto, dovetti lasciare il bungalow dove ero rimasto due giorni, visto che D. avrebbe preso il mio posto, il mio letto dove avevo passato le ore più belle di sempre. Entrai nel bungalow da solo, prima che arrivassero gli altri. Presi le mie robe e notai le carte di Uno, con le quali avevamo giocato fino a poco tempo prima. Con le carte composi un "56" sul suo letto. D. non avrebbe potuto capire, N. sì, visto che quando mi scrisse "7V8" al posto di "TVB" in un messaggio, gli chiesi se intendeva dire "sette volte otto". Da lì, quel 56 che per noi assunse un significato unico.

Lasciai, a malincuore, il bungalow, andando dagli altri. Dopo la festa di Fra, tornati al bungalow per la notte, passai alcune delle ore più brutte della mia vita. Faticai a prendere sonno, sapendo che quei due ora erano nella stessa posizione in cui io ero fino a poche ore prima, pensando le stesse cose e soprattutto provando le stesse cose. Mi odiai per aver concesso quel cambiamento di letti, per aver abbandonato N. proprio quando cominciavo a capire di provare per lui più di una semplice amicizia. La mattina giunse rapida. Mentre il cellulare segnava le 7 e gli altri nel bungalow dormivano, io ero sveglio, attanagliato dal freddo. Non il freddo di una normale domenica mattina di fine aprile, ma il freddo terrore che ti coglie quando la persona che ami è lontana da te. Con qualcun altro. A pochi passi da te. Senza possibilità di far niente.

Dopo mezz'ora a rigirarmi nel letto, mi misi le scarpe e uscii dal bungalow. Così, come ero, in pigiama e con le scarpe. Feci la strada fino al bungalow di N. e D. mentre una vecchietta mi fissava incuriosita da un bungalow vicino. Mi avvicinai alla porta. Provai a vedere qualcosa dalla finestra, ma le tende erano tirate. Allora andai sul retro. Sgusciai tra il loro bungalow e quello vicino. Arrivai sul retro, ma l'unica zona in cui la tenda della finestra non era tirata era appannata. Sgusciai sotto, e li sentii parlare. Mi sporcai il pigiama di terra, ma mi interessava solo sentirli, in che posizione potessero essere. Ed erano vicini, ma non capivo cosa dicessero. Sentivo sussurrare, morivo dentro.

Capii che non potevo rimanere lì e me ne tornai silenzioso nel mio bungalow. A pranzo io e N. litigammo, mentre il resto delle persone ci attendeva per pranzo. Litigammo nel bagno di Fra, che ci ospitava a mangiare, mentre io lo accusavo di avermi ignorato da quando D. era comparso nel gruppo, di avermi tenuto come antipastino in attesa della portata principale. Ero deluso, confuso e affranto. I quattro giorni che attendevo da tempo mi lasciavano turbato e con un sapore d'amaro in bocca, per la conclusione. Da Fra lo minacciai: "se accompagni D. in stazione, poi non accompagni me". Lo accompagnò in stazione, giustamente, per salutarlo. Io rimasi a casa di Fra, il mio treno partiva più tardi. Quando fu il momento di andare per me, venne anche lui, nonostante le stupide premesse e minacce.

Salutai Fra, abbracciandola forte. Poi salutai lui, che si commosse. Saltai sul treno delle 15.45 per Bergamo (che fermava a Brescia, of course), presi posto e... cominciai a piangere. Ancora più disperato di tre sere prima, sfogando il convulso nervosismo delle ultime ore. Di fronte a me una suora aspettò quindici minuti (in cui non mi calmai di una virgola) prima di azzardarsi a chiedermi perchè piangevo. Quando le dissi che era per un ragazzo anzichè per una ragazza, partì una discussione infinita che perlomeno mi tolse dalla tristezza del momento. Col ritorno a casa delle 21.30 si chiudevano ufficialmente quei quattro giorni folli a Roma.

Più confuso che mai, più geloso che mai, attesi Maggio con la consapevolezza che qualcosa stava cambiando, che il mio rapporto con N. stava cambiando in una direzione che poteva solo peggiorare tutto. Mentre i litigi aumentavano, aumentava anche la voglia di stare con lui. L'occasione avvenne a Giugno, mentre a San Siro l'unica cantante per cui ucciderei faceva il concerto della vita sotto la pioggia, io mi accingevo a rivederlo e a vivere un'altra emozione senza precedenti, quella di varcare la soglia di un edificio visto prima di allora solo in televisione...

(continua)

domenica 3 ottobre 2010

LIBRERIA - THE END

Mi avevate letto a metà giugno, distrutto dopo le prime ore di lavoro e deciso a mollare baracca e burattini senza nemmeno mangiare il gavettone (l'equivalente ferragostiano del panettone, of course). Poi mi avete visto stringere i denti e resistere, che in fondo è solo fino a fine settembre, e si mette via qualche soldino. Poi, semplicemente, non mi avete visto più.

Settimana scorsa, dopo due mesi e mezzo che mi hanno praticamente assorbito tutto il giorno tutti i giorni (con la pausa in un Agosto di cui tutt'ora metto in dubbio l'effettiva esistenza), è finito il mio impegno in libreria.

Le due settimane di 'scolastica', come si chiama quel periodo che parte il primo giorno di apertura delle scuole e si esaurisce dopo 14 giorni, sono state due delle settimane più dure della mia vita. E' stata un'esperienza formativa, per quanto non possa esattamente risaltare in un'eventuale messa a curriculum, praticamente il primo vero faccia-a-faccia con il mondo del lavoro. Ma vediamo tratti sparsi di queste due settimane semplicemente folli.

Il team
Non sembrava, ma eravamo un team affiatato e, soprattutto, numeroso. Oltre alle creature mistiche già presentate, hanno fatto la loro comparsa le cassiere. Che, voglio dire, un eterosessuale avrebbe apprezzato di brutto. Invece loro hanno apprezzato me; gli son stato simpatico sostanzialmente subito, e non è stata una brutta mossa da parte mia. Farti amiche le cassiere (e intendo tutte e tre) significa anche un poderoso aumento di profitti, significa che le simpatiche ragazze segnino a te guadagni portati a casa da altri (si lavorava a provvigione), significa aiuti di ogni sorta ma soprattutto un notevole riscontro economico. D'altro canto, sono andato d'accordo sostanzialmente con tutti, non ho avuto un singolo litigio o una singola incomprensione con nessuno per tutto il mese, e ciò ha giovato, oltre nel non avermi appesantito la situazione, anche per quanto riguarda l'autostima.

Gli orari
Folli. Ma dico folli davvero. Si cominciava alle otto, si serviva il primo cliente, facendo il giro della libreria nei vari settori didattici per completare il più possibile la sua lista-libri, andando in prima sala, dietro al bancone, appesi a quattro metri d'altezza, in seconda sala, in cantina, nell'anti-cantina, sulle scale, in terza sala e poi, con la pila di libri, dalla cassiera per il conteggio totale. E via con il cliente successivo, in una corsa senza sosta per poter guadagnare il più possibile. E soprattutto così via fino all'una e mezza, per una sacrosanta ora di pausa che, sostanzialmente, durava meno di quaranta minuti. E poi ancora via così, dalle 14.30 ad un più che folle otto di sera, fino alle otto e mezza per sistemare i libri in giro e calcolare il guadagno della giornata. Tornare a casa a un quarto alle nove, dopo quasi dodici ore di lavoro senza fermarsi un attimo, è un'esperienza da non augurare. In quelle due settimane io sono davvero stato più di là che di qua.

Il sabato alcolico
Il primo sabato, quello al termine della prima settimana di scolastica, per intenderci, una non meglio precisata tradizione ha stabilito che nell'anticamera della cantina, tra greco e spagnolo, avrebbero dovuto esserci bottiglie di limoncello e sambuca, per rendere meno noioso il giorno prima della meritata pausa domenicale. Risultato: ad ogni discesa in cantina (in media due volte ogni dieci minuti) si beveva qualche bicchierino, finchè le bottiglie non sono finite e io, già brillo, sono stato mandato a prenderne altre. Praticamente ubriaco, ho cominciato a vedere doppio, a salire sulle scale e a vedere buffi elefantini rosa al posto dei Moduli di Lineamenti di Matematica della Dodero, a ridere in faccia ai clienti e, soprattutto, a vendere meno delle cassiere. Che è dura, visto che non vendono nulla e son lì solo per fare i conti con le calcolatrici. Un guadagno misero, ma un pomeriggio divertentissimo a urlarci contro da una stanza con l'altra, facendo casini e facendo sempre il solito lavoro, ma capendo la metà.

La rivoluzione
L'ultimo venerdì, a due giorni dalla fine di tutto, c'è stata da parte nostra una sorta di ribellione. Vedendo che i guadagni calavano (e con essi il senso di lavorare a provvigione, cioè farsi un culo quadro per rischiare di prendere di meno di quanto avremmo preso all'ora), e vedendo che spesso venivamo relegati a lavori di sistemazione, che quindi svolgevamo gratis, visto che in quel periodo di tempo non si vendeva niente, abbiamo cominciato a lamentarci e a chiedere di essere pagati all'ora da lì in avanti. Incrociando le braccia, abbiamo trovato da parte di Old Turtle un simpatico muro contro muro che sembrava avrebbe potuto chiudere la settimana lavorativa in anticipo. Poi tutto si è sistemato e si sono fatte anche le restanti quindici ore (fino alla sera dopo, in cui effettivamente è finito tutto), ma è stato simpatico anche questo piccolo excursus sindacale. Specialmente quando sei pagato in nero senza la minima forma contrattuale.

La sensazione di guardare la libreria da lontano il primo giorno dopo la fine del lavoro
Impagabile.

E' stata una delle esperienze più dure e logoranti della mia vita, ma posso dire che ne è valsa la pena, e che sono quasi orgoglioso di me. E non è cosa da tutti i giorni, ve lo assicuro.