lunedì 16 novembre 2009

BITA - ALE DAGLI ANNI '90 AD OGGI - 10^ PUNTATA

Quello che mi faceva ridere della gita in Grecia, paventata e pubblicizzata fin dai primi giorni di quell'ultimo, stranissimo anno di liceo, era il modo in cui saremmo andati. Solo un anno prima andavamo in Sicilia in aereo e ora avremmo dovuto andare da una parte all'altra del mediterraneo in nave. Scelta curiosa, che alleviava la paura di quanti, in classe, già si vedevano novelli naufraghi di Lost post-disastro aereo.

Il quinto anno era cominciato come tanti, con lo spauracchio esame di maturità a fare capolino ad ogni momento in cui il professore in questione si sentiva privato della nostra attenzione durante la lezione. Io sapevo, in cuor mio, che avrei pagato tutto: il chiedere di andare in bagno durante i primi 5 minuti di Storia/Filosofia per fare ritorno a un minuto esatto dalla campanella, gli sfottò meno velati rispetto a quelli dei miei compagni rispetto a quella di Lettere e perfino l'arroganza con cui mi ponevo nei confronti del prete durante l'ora di religione. A mio discapito c'è da dire che pensavo che il grado in più di onestà che mettevo rispetto ai miei compagni sarebbe stato perlomeno preso in considerazione da una soggettiva più umana e meno scolastica-vendicativa.
In quel periodo la mia attività di blogger ebbe effettivamente inizio: dopo i primi mesi di rodaggio estivo, entrai nel pieno della dipendenza da blog, sfogando su internet ciò che ho sempre amato fare, scrivere. Cercavo di rendere nei miei post gli avvenimenti della mia giornata (rileggermi ora fa ridere e mette una malinconia indescrivibile), aggiungendoci scampoli d'ironia da perfezionare.

Fu l'anno in cui mi decisi a cominciare a pensare alla patente. Il primo scoglio, naturalmente, era rappresentato dall'esame di teoria. Esclusa l'ipotesi di seguire delle lezioni per qualcosa che riguardava mero studio e continui esercizi sulle schede fac-simili, comprai un libro da studiare e il famoso eserciziario su cui fare le simulazioni di quello che sarebbe stato il testo. La cosa inizialmente mi esaltò, mi misi a fare esercizi su esercizi (pure in classe, per la gioia dei professori sopracitati) e mi convinsi che lo scoglio dell'esame di teoria sarebbe stato superato agevolmente. Arrivò il giorno del test. Mi preparai, agitato e tremante, controllando di avere tutti i documenti e le carte richieste, accompagnato da mio padre. Seduto al banco, ascoltai le infinite raccomandazioni dell'esaminatore, ricevetti il foglio e cominciai a risolvere i quiz a cui ero abituato da 2 settimane in cui, praticamente, non avevo fatto altro. Questa è facile, questa pure. Ok su questi son tranquillo. Rimasi, su trenta crocette, indeciso su circa cinque, ma decisi di compilarle senza aspettare inutilmente la fine del tempo concesso. Arrivò il momento della correzione. La penna cominciò a segnare gli errori. Uno. Due. Tre. Cazzo, su quelle ero abbastanza sicuro. La penna arrivò a metà foglio. Quattro. Porca troia, ancora uno ed è finita. Più nulla fino alla fine delle domande. Poi, implacabile, sporcò il foglio altre due volte. Cinque, sei. Sei errori, bocciato. Rimasi interdetto, presi i miei documenti e me ne andai, urtando con rabbia la ragazza festosa che aveva appena avuto buone notizie. Mio padre, manco a dirlo, accentuò la rabbia e la delusione che già provavo nei miei confronti, urlandomi di tutto.
Il mese dopo potei riprovarci, con la sicurezza di un intero libro di esercizi concluso con una media invidiabile di 1 errore e mezzo a scheda. Mi preparai, infreddolito e terrorizzato, facendomi di nuovo portare da mio padre. Quella volta, tuttavia, commisi un errore imperdonabile: saltai un passaggio. Quello dei documenti. Arrivato davanti alla porta della motorizzazione, mi tastai le tasche accorgendomi con orrore che non avevo preso il portafoglio, e, con esso, la carta d'identità. Ci misi due-tre minuti a trovare il coraggio di dirlo a mio padre. Qualsiasi richiesta di deroga o strappo alla regola fu negato da parte degli esaminatori, mia madre non se la sentì di fare una corsa ai limiti del legale per portarmela e rimasi, ancora una volta, a bocca asciutta. Inutile dire che la delusione e l'irritabilità raggiunse livelli immensi, mentre mio padre riusciva a rendere tutto più difficile sottolineando in continuazione l'errore e non mancando di ricordarmi quanto fosse deluso da me e dalla mia superficialità.

Fu con questo spirito che partii per la Grecia, per quella che doveva essere la famosa "gita di quinta". Partimmo verso mezzogiorno, per essere al porto di Ancona poco prima di cena. Da lì, l'imbarco per lo stato ellenico. La partenza, in nave, fu tranquilla. La sera le varie classi coinvolte si riunirono al bar, per qualche bicchierino concilia-sonno, mentre le persone più sensibili cercavano di vomitare il meno possibile all'interno delle rispettive cabine. Io, fortunatamente, non avevo mai sofferto il mal di mare. Mi ritrovai in camera con M., un compagno di classe della "cinquina" proveniente da un'altra sezione due anni prima, un altro che, come lui, conoscevo solo dal terzo anno, e uno di un'altra sezione, che conoscevo abbastanza. Noi tre (della nostra sezione) andammo a dormire poco prima della mezzanotte, scherzando festosi tra le cuscinate, i dispetti e le finte lotte libere che si scatenano sempre in quei momenti, mentre il quarto ragazzo rimaneva ancora disperso nei meandri della nave. I quattro posti letto erano messi a castello, rispettivamente due contro una parete e due contro l'altra, lasciando poco spazio per muoversi in quell'angusta cabina. Loro due avevano scelto i letti bassi, mentre io e il ragazzo dell'altra sezione avevamo preso quelli alti. Finita la lotta, mi misi sul letto di M., con lui a fianco, fissando l'altro ragazzo e facendogli segno di aspettare il momento opportuno per attaccare M. e proseguire in quei giochi pre-sonno. Quel momento opportuno, tuttavia, non arrivò. Tutti e tre ci addormentammo nell'attesa, a luci spente, crollando di colpo. Tuttavia, io ero rimasto nel letto con M.
Mi svegliai un'oretta dopo, con la testa molto vicino alla sua, accorgendomi di dov'ero rimasto. La cosa non mi dispiacque. Pur non essendo un adone, M. era l'unico con un fisico ancora da "ragazzo", come me, in tutta la classe, mentre tutti facevano già grande sfoggio di fisiconi, altezze improponibili e barbe incolte. Rimasi lì, finchè lui, nel sonno, si voltò verso di me, mettendomi un braccio attorno alla vita e, di fatto, abbracciandomi. Andammo avanti così, in un'altra mezz'ora circa di sonno travagliato, finchè mi svegliai e ci trovai ancora più vicini di prima, con le gambe intrecciate. La vicinanza mi piaceva, il mio corpo reagì e cominciai a sragionare. Spostai un ginocchio, accorgendomi che anche lui era eccitato. Il ragazzo, fidanzato da anni con una coetanea del suo oratorio, centesimo di cento fratelli, fervente ciellino e fedele servo del signore e della Chiesa Cattolica, era ora nel letto con il sottoscritto, in un abbraccio inspiegabilmente colmo d'eccitazione. I suoi movimenti continui mi confermarono che nemmeno lui stava davvero dormendo. Girato completamente verso di me, cominciò di colpo a strusciarsi contro la mia coscia. Lasciai fare (figurarsi, non sono sgarbato). A forza di girarci e rigirarci, diedi per scontato che il ragazzo aveva dimostrato una certa (inspiegabile) disponibilità, e tentai il tutto per tutto. Gli accarezzai la pancia e scesi, all'interno dei pantaloni del pigiama. Per i primi momenti mi lasciò fare, poi mugugnò e si girò di spalle, concludendo così il mio approccio. Decisi di non tentare oltre la sorte, nonostante nelle restanti ore si sarebbero susseguiti altri abbracci e carezze da parte di entrambi. Quando entrò il quarto inquilino della camera, poi, barcollante per l'alcool, M. si staccò di scatto, confermandomi che era pienamente sveglio e consenziente. Nessuno degli altri due inquilini di quella cabina notò niente, e noi due ci svegliammo la mattina dopo come se nulla fosse.

Al sorgere del sole, la sveglia ci informò che avevamo raggiunto la Grecia ed eravamo pronti a sbarcare. M. non mi calcolò particolarmente, andammo a far colazione, raccogliemmo le nostre e cose e risalimmo sul pullman, senza praticamente rivolgerci la parola. Come dovevo comportarmi? Fingere indifferenza, indagare su una sua eventuale omosessualità taciuta? La risposta me la diede lui, nei giorni seguenti di quella gita orrenda. Anche se qualcosa non tornava...

(continua)

6 commenti:

  1. nooo propio sul piu bello di interrompi???

    ora voglio sapere! so troppo curioso !!!
    >.<

    certo che eri propio "disinibito" :d mi sarebbe piaciuto essere come te ehehe

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  2. Posso dirti che sei stato un ragazzo molto fortunato!? Hai avuto tante occasioni per prendere confidenza con i ragassini, seppur qualcuna un pò meno fortunata XD
    Per una volta, non ti dirò nulla sull'essere cosi disinibito ma ti farò i miei complimenti per aver sempre colto la palla al balzo ogni qualvota se ne è presentata l'occasione : BRAVO!!!
    Ciò che mi stupisce, invece, è la somiglianza con l'esperienza patentativa : esattamente identica alla tua ma con le differenze che il papà era la mamma e che ho passato l'esame al secondo tentativo...scioccante ^^

    p.s. Quanto vorrei poter leggere i tuoi primi passi mossi nel web...

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  3. Ora si capisce perché guidava sempre Seba XD
    (Scherzo ovviamente :x)

    Cmq, magari fossi stato così sveglio pure io a quell'età, sinceramente ti invidio..

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  4. Ahaah Dai che si offende ^^^
    Seb

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  5. Scherzavo infatti :D
    Ae guida benissimo, punto.

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  6. Diavolo... i can't wait more...

    FAi qualcosa inventa una scusa per anticiparmi la puntata :D

    Alino stai battendo anche me.. hai un passato decisamente VISSUTO :D

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