domenica 25 settembre 2011

mercoledì 14 settembre 2011

DEI TROLLEY A FORMA DI BIMBIMINKIA

Ebbene sì, questo blog è stato vittima nella giornata odierna di un'invasione di simpatici troll. O trolley, per chi mi seguisse dal lontano 2005. E i troll peggiori, si sa, sono i fan. E i fan peggiori, si sa, sono quelli dei cantanti più sfigati, quelli che non vendono ormai nulla e che non si rassegnano del fatto che il loro artista sia andato in rovina. Guardate i fan di Britney, come si concentrano sul massacro di Lady Gaga rispetto alla difesa di una ragazza che ormai ha perso lo smalto che l'aveva lanciata anni fa.

Questo blog, invece, ha subito l'attacco dei fan di Avril Lavigne. Parlavo di lei in modo piuttosto lusinghiero in questo post di un paio di giorni fa, sul suo concerto di domenica sera ad Assago. Un concerto disastroso, obiettivamente deludente a livello di affluenza di pubblico (gente che se ne andava a metà concerto, un via vai dai bagni che nemmeno al concerto di Vasco) e soprattutto vocalmente non all'altezza delle aspettative. E lo dico da uno che ha sempre apprezzato la Avril incisa, che ha divorato il suo ultimo cd e che ha sempre amato i suoi grandi classici. Lo dico pure nel post in questione, ma lo strabismo da fanatico deve averne impedito la lettura. Un'invasione, di un gruppetto di scalmanati (ma all'inizio era la stessa persona con nickname diversi), che si sono impegnati in produzione di vero e proprio materiale bimbominkioso. 

Un fiorire di K che non crederesti davvero possibile (se nenake la konosci.. A mio parere hai detto una marea di cavolate e non la conosci avril ! fai parlare quelli che la conoscono bene [...] koncerto [...] konsiglio), errori grammaticali da far ridere perfino Renzo Bossi (Ma poi anche se prima non eccedeva (vocalmente parlando) [...]  tu secondo me sei un esautito esaltato [...] io voglio solo controbbatere) e gli immancabili cavalli di battaglia (Ma che patetico! 6 un coglione! Sei solo un invidioso di merda!).

Ora, ho sempre pensato che la rovina di molti cantanti fossero i fan stessi, questa è l'ennesima conferma. Non c'è bisogno di aggiungere molto, i commenti (che ho chiuso, perché questo non è un luogo dove potete venire a sfogare la vostra rabbia irrisolta verso chi non idolatra il vostro feticcio) parlano da soli. Evidentemente il target medio di questa cantante è rappresentato da ragazzini che scrivono con la K, in un linguaggio ben lontano dall'italiano e che non sanno riconoscere una nota giusta da una nota sbagliata. Ma soprattutto una critica da un'occasione per sfoggiare gli insulti imparati da qualche anno al riparo dello schermo di un computer. Ci sono tanti blog che vi permettono di sfogarvi, ma soprattutto tante fan-base dove andare ad auto-convincervi di avere ragione, questo non è uno di essi.

Quando saprete discutere ammettendo gli evidenti limiti del vostro idolo (e non parlo solo di Avril - ahahahahah - Lavigne), arrivando a una discussione costruttiva, tornate pure. Nel frattempo andate avanti a studiare, perché più avanti vi servirà saper parlare italiano, non giocare a fare i ribelli come canta la darkettina coi capelli rosa. 

martedì 13 settembre 2011

QUANDO SEI UBRIACO

Questo bel video olandese illustra in modo semplice e divertente le principali differenze tra i comportamenti di una persona sobria e di una persona ubriaca. Mentre il video scorre normalmente, passandoci sopra il cursore del mouse vedrete la stessa scena, con gli stessi protagonisti, ma vissuti dal punto di vista di una persona decisamente su di giri. 
Si tratta di una campagna per scoraggiare la guida in stato di ubriachezza: l'agenzia di trasporti che l'ha commissionata, Movia, garantisce un servizio di bus notturni per concludere una serata movimentata. Il video lo potete vedere qui

lunedì 12 settembre 2011

AVRIL LAVIGNE IN CONCERTO @ MILANO, 11/9/2011

Non credete alle recensioni dei giornalisti sui concerti della sera prima: nella migliore delle ipotesi sono già stati scritti prima dell'evento, con uno spazio di 2-3 righe libero per eventuali contrattempi, cambi di programma e commenti dell'ultimo minuto. Non a caso è sempre tutto un fiorire di frasi fatte, tipo "cornice di pubblico", "platea eterogenea" - e capirete che al concerto di Avril di etero c'è davvero poco - "voce potente", "emozioni suggestionanti" o "suggestioni emozionanti" e così via. Così ha fatto anche la tizia,  seduta di fronte a me ieri sera, al concerto di Avril Lavigne al Mediolanum Forum di Assago, che aveva già il suo bell'articolo pronto sul Blackberry. 

Avril si fa attendere quasi venti minuti, prima di cominciare il concerto con What the Hell, il primo estratto dal suo ultimo cd. Curiosità del dietro le quinte: pare che Avril sia una stronza. Ma non una stronza qualsiasi, una gran stronza. Dopo aver diramato comunicati personalmente sulle cose da non introdurre nel palazzetto (tra cui figurava davvero qualsiasi cosa, dalle armi alle penne laser, passando per le "grosse catene", che sono fisse nell'armadio di ogni buon fan di Avril), Avril ha detto chiaramente di non voler essere: toccata, fotografata, disturbata, guardata, avvicinata, pensata. Che qualcuno le dica che i divismi, già fastidiosi di per sé, si chiamano tali perché tipici delle "dive". E no, Avril Lavigne non è una diva. 

Il problema del concerto di ieri è tutto qua: se quando dici "Avril Lavigne" tre quarti della popolazione mondiale si mette a ridere, un problema di fondo con la sua musica o, perlomeno, col suo personaggio è innegabilmente presente. Il suo pubblico target, la sua immagine sempre uguale da quando aveva 16 anni ad ora che ne ha quasi 27 (quando cominciamo a fare le adulte Avrì?), non la rende credibile e la rende più scontata e stereotipata di un qualsiasi Justin Bieber che, perlomeno, con l'ultimo look da lesbica ha cambiato un po' stile. Avril invece è sempre uguale a se stessa, ma senza essere gentile e umile. No, riesce pure ad essere piena di sé.

Avril ha nel suo repertorio tante belle canzoni, anche se pare strano a dirsi. L'ultimo cd l'ho ascoltato più volte e contiene delle tracce particolarmente belle. Pure i suoi successi più ballad, tipo I'm with you o When you're gone sono, secondo me, tra i migliori di quel particolare genere. C'è solo un piccolo particolare: è inutile scrivere canzoni bellebelle se poi non le si sa cantare. Già, ho forse dimenticato di menzionare questo piccolo particolare sul concerto di ieri: Avril Lavigne, dal vivo, è una cagna di proporzioni epiche. Svociata, spesso fuori tonalità, imbarazzante sugli alti, sguaiata e fuori tempo; vocalmente parlando quello di ieri è stato il peggior concerto mai visto da quando mi capitò un Tiziano Ferro in evidente stato di Laringite acuta fulminante. Il momento più difficile della serata arriva proprio nel punto lento della scaletta, quello con le canzoni sopracitate. Un disastro, con canzoni cambiate per evitare i punti più impegnativi e urla da mercato del pesce. 

Per concludere, la solita pantomima di cui non riuscirò mai a farmi una ragione: quella dell'artista - sì, sto sempre parlando del concerto di ieri, permettetemi l'iperbole - che finge di andarsene, il concerto sembra finito lì ma poi gli assillanti "fuori fuori" o il nome del cantante urlato a ripetizione dal pubblico lo costringono a uscire per un "bis", che poi consiste di altre canzoni, solitamente le più conosciute. Che senso ha? Solo a me sembra una cosa tipicamente italiana tipo l'applauso dopo l'atterraggio dell'aeroplano? Ma soprattutto che senso ha dal momento stesso in cui le canzoni sono già previste in scaletta? Canta e basta, no?

Nota piacevole dell'evento: il pubblico. Al di là dei tipici fan che ti possono venire in mente quando parli di Avril (sì, esistono davvero le ragazze coi capelli rosa, la gonnellina nera, il trucco un po' dark e un po' batton), tantissimi giovani, in gruppi di amici o accompagnati dai genitori. E vedere le bambine che correvano e saltellavano gioiose, senza manco capire che cos'era quel fuc*ing e quella sh*t di cui cantava Avril, era una nota di colore che probabilmente la Lavigne non si merita poi così tanto. 

venerdì 9 settembre 2011

IMPRESSIONI DI SETTEMBRE

In quest'estate strana di questo anno strano, c'è stato spazio per un breve "momento d'agosto", così come lo intendo io. L'unico mese dell'anno in cui posso dire di sentirmi davvero contento, del tempo, della luce, del sole. I ricordi più belli della mia infanzia, ce li ho in agosto. Al lago. Non ne ho mai fatto mistero con nessuno. E quest'anno, per un po', ho rivissuto certe cose che da tempo non rivivevo. Non c'è stata "la trasferta mensile" che vivevo da piccolo coi miei genitori, non c'è stato il coprifuoco, la festa di Ferragosto, la gente, il tempo, i compiti delle vacanze, no. C'è stata la sensazione, di poter passare qualche giorno - pochi, ovviamente - per intero nel posto in cui sono cresciuto. Sebbene ci stessi un mese all'anno, è il luogo dove mi sembra di essere cresciuto. 

La sveglia, la luce dalla finestra, la colazione sul balcone. La piscina, il pranzo in ritardo, l'abbiocco. La piscina, ancora, finché cala il sole. La doccia. E le docce d'agosto (ma anche di luglio, via) sono le più belle dell'anno, perché non hai freddo, uscendo. E ti asciughi velocemente, perché fa caldo e c'è ancora chiaro. E la cena sul balcone, e star fuori fino a tardi. Anche solo per un gelato, anche solo a parlare. Il resto son suggestioni che sono rimaste uguali: le stelle dal terrazzo, le scale, la strada per la piscina, la strada dietro casa di cui avevo paura tornandoci, da piccolo, di notte. Tante altre piccole cose. È durato poco, ma le ho risentite simili.

Anche settembre, il cui arrivo è sempre stato vissuto dal sottoscritto come un disastro di proporzioni cosmiche, l'ho sentito come capitava da piccolo. I primi segnali di fine agosto, le giornate che si accorciano, l'aria troppo fresca dopo una certa ora, l'acqua della piscina leggermente più impegnativa e soprattutto le ghiande sul vialetto di casa, li ho sempre vissuti con uno stress incredibile. Per reggere l'impatto della fine dell'estate ho imparato, negli anni, a cominciare a diluire la sofferenza per questo inevitabile passaggio negli ultimi giorni di agosto e soprattutto nei primi di settembre. 

Semplicemente è più forte di me, non ci riesco. Non riesco ad accettare la fine dell'estate, la ripresa del freddo, di tutto l'anno. Che per me è solo uno stringere i denti in attesa dell'arrivo dell'estate successiva. 

lunedì 5 settembre 2011

IL PERDONO /3 - LA RESPONSABILITÀ DI CHI SAPEVA

Chiudiamo questa trilogia non richiesta del mio vademecum per la chiusura dei rapporti umani con una parte più personale di ciò che ho detto finora. In tutto questo miscuglio di sgarbi, vendette e rivalse sulle persone che ci han mancato di rispetto e non se ne sono neanche troppo preoccupate, c'è una categoria di persone che, se possibile, merita la pena capitale per tutto ciò che riguarda il perdono. Parlo delle "persone che sapevano". Non vi è mai capitato di aprirvi abbastanza con una persona al punto di spiegarle cosa vi ha fatto soffrire in passato fino ad arrivare al punto di chiudere tout court con altre persone? Ecco. Immaginatevi che poi quella stessa persona che lì per lì vi capiva, vi difendeva e si indignava con voi si comportasse nella stessa maniera. Come fa a non essere più grave ancora del primo episodio?

Se ci si pensa è come il classico "no io non ti faró mai soffrire" che ci accompagna nei nuovi rapporti una volta che l'esperienza precedente diventa argomento di discussione. E non sarà vero, perché tutti fanno soffrire tutti, in un modo o nell'altro. Il punto è che non ci si può comportare con una persona (male) come già s'era comportata un'altra persona precedentemente. È una sorta di obbligo morale: se hai sostenuto quella persona in un episodio di cui è stata vittima, non puoi replicare l'accaduto diventando il nuovo carnefice. Perché significherebbe avallare in qualche modo il comportamento da cui prima si erano prese le distanze, significherebbe non giudicare davvero importante la sofferenza precedente dell'individuo, facendogliela patire di nuovo, significherebbe mettere l'acido nella carne viva della ferita ancora aperta.

Per quello, in tutto questo discorso sul perdono, questa è l'unica cosa che so per certo. Non perdonare mai, mai le persone che sapevano cosa ti aveva fatto soffrire e che si ricomportano nello stesso identico modo. Perché non hanno capito la tua sofferenza e non capiranno neanche il resto di te.

Tutto ciò per dire che se qualcuno mi fa un torto dovrà sorbirsi questa marea di cagate in loop nelle orecchie come le antiche torture cinesi, legato a una sedia mentre una tv trasmette, senza volume, le repliche del 2004 di Forum. E non quelle su Canale 5, quelle su Rete 4.

domenica 4 settembre 2011

IL PERDONO /2 - TERZE POSSIBILITÀ

(segue)

Il fatto che nessuno ci insegni a perdonare non ci autorizza a non farlo a prescindere o, peggio, a perdonare chiunque indistintamente. Diffido dai dogmi, "è pur sempre tuo parente", "pensa al fatto che siete amici da tanto tempo" e via dicendo. I legami di parentela o le amicizie cementate non autorizzano a una mancanza di rispetto continua, non autorizzano al perdono a prescindere. Anzi, per certi versi sono aggravanti: certe cose non te le aspetteresti da persone che ti conoscono da tempo o che sono consanguinei che ti hanno visto crescere. Anche Hitler, avrà avuto amici d'infanzia, anche l'attentatore di Oslo avrà avuto dei genitori. Non si può essere caritatevoli con le persone solo perché la storia ci ha legato a loro. Si può avere un occhio di riguardo, ma non ci si deve lasciare fregare.

Perché le persone, al netto dei legami affettivi passati, hanno una loro testa, una loro storia e delle responsabilità. E come non si può concedere tutto a un parente, non è giusto permettere ad amici di vecchia data di aggirare il senso comune del rispetto, lo stesso che ci aspetteremmo da un conoscente o dallo sconosciuto in coda dietro di noi in biglietteria.

Dare seconde possibilità, in tal senso, secondo me è una sorta di obbligo morale. Tutti sbagliamo, il fatto stesso che l'essere "umani" sia stato mutuato come aggettivo di fallibilità, spiega come ciò sia scritto nella nostra natura. Per quello è giusto parlare di terze possibilità. Normalmente una persona che ha sbagliato e che è stata perdonata ha capito il suo errore, ed è grata della seconda chance. Eppure capita - spesso - di sbagliare di nuovo. Ricadere nello stesso errore o in uno molto simile è un rischio più che reale. Dare o non dare una terza possibilità dipende dai due agenti in atto e dalla gravità del gesto.

Negli ultimi mesi ho perso - nel senso affettivo - parecchie persone. Capita, è la vita. Tra queste, peró, ce ne sono tre che mi avevano già dato segnali che avrebbero potuto farmi realizzare la loro inaffidabilità. Si tratta di due amici e un parente.

Nessuno aveva dato loro il diritto di calpestare la mia fiducia, la mia onestà o i miei tentativi di mantenere un rapporto, rispettivamente. Eppure ho concesso, molto, troppo. Attendendo, non solo che i loro errori venissero riconosciuti, ma che non fossero ripetuti. E se in un caso ho perdonato molto, ricevendo in cambio sempre e solo coltellate, se nell'altro ho creduto che i tentativi di costruire il rapporto d'amicizia fossero reciproci e se nell'ultimo mi sono illuso che il suo disinteresse per le persone fosse "caratteriale", alla fine mi sono ritrovato ad accettare il tutto. Nessuno di loro tre cambierà mai, perché il loro venire anni luce prima del rapporto con me impedisce e continuerà a impedire loro di riconoscere gli errori e chiedere davvero perdono.

E come a loro non interessava un reale perdono, un reale rapporto di fiducia e rispetto, questo m'ha insegnato ad andare oltre le scuse (qualora ci fossero, ovvio), ma a capire quanto quell'errore potesse essere sintomatico di un'incompatibilità personale. Perché un conto è perdonare, un conto è vedere vero pentimento e voglia di ricominciare a costruire nella stessa direzione.