lunedì 21 settembre 2009

BITA - ALE DAGLI ANNI '90 AD OGGI - 2^ PUNTATA

Ebbene sì, da piccolo mi sono macchiato dell’orribile crimine chiamato scoutismo. Un giorno sentii definire gli scout “un gruppo di bambini vestiti da cretini capitanati da un gruppo di cretini vestiti da bambini”. Non male, come definizione. Tuttavia, un po’ cattiva. Devo molto agli scout: i miei genitori mi invitarono caldamente (=obbligarono) a diventare un lupetto intorno alla fine delle scuole elementari. Ora, non posso dire di avere imparato a salvare una vecchina dal fuoco di un drago creato dall’incantesimo di uno stregone ateo e anti-cattolico, ma al mio gruppo d’appartenenza devo parecchie mie esperienze. Errata corrige: gruppi. Cambiai ben tre gruppi nella mia carriera scoutistica, sia per motivi esterni alla mia volontà (scioglimento del gruppo), sia per la mia propensione alle scene drammatiche (mi trovai a metà di un campo invernale ad essere detestato da tre quarti della parte femminile. I maschi, semplicemente, manco mi cagavano).
In quinta elementare partecipai al mio primo campo estivo. Meta designata: Cesenatico. Curioso, per degli scout, abituati a scorrazzare a tempo perso per le montagne. Del campo ricordo la struttura abbastanza fatiscente, il caldo mostruoso e l’estrema libertà che ci era concessa nelle cosiddette ore libere, che rendevano il campo estivo qualcosa di molto più somigliante ad una via di mezzo tra una villeggiatura e il servizio militare.
Fu durante uno di questi pomeriggi di libertà che diedi il mio primo bacio. I ragazzi più grandi avevano organizzato una sorta di gioco della bottiglia; io, dal canto mio, non capivo bene cosa avrei dovuto fare e come ero arrivato lì. Il gioco, leggermente diverso dalla versione classica, stava alternando casti bacini sulla guancia a più audaci baci stampo della durata di mezzo secondo mezzo. Nessuno osava andare sul “pesante”, io, a metà gioco inoltrato, me la stavo cavando con un bacino stampo dato alla versione bonsai di Miss Piggy dei Muppet, che inspiegabilmente sbavava per me, nonostante all’epoca dimostrassi attorno ai dieci anni appena compiuti. Improvvisamente, una ragazza della prima media (quindi un anno più grande di me), scelse me per un “bacio con la lingua”. Tremavo letteralmente. Per me, ragazzino di quinta elementare, accettare quella proposta in una sudicia stanza di un convento davanti agli occhi di una decina di persone significava sfanculare ogni immagine sognante del primo bacio, dimenticarsi di darlo alla “persona giusta” e togliere ogni magia a quell’evento. Rifiutare, tuttavia, mi avrebbe fatto sentire “lo sfigato di turno”, che partecipa ad un gioco e poi non sta alle regole – una cosa che per inciso ho sempre detestato – che si proponeva per il gioco “pericoloso” e poi si tirava indietro al momento decisivo. Accettai. Il bacio me lo ricordo molto umido, ma non malvagio. Produssi semplicemente tanta saliva quanto mia nonna durante l’ultimo cenone di Natale. Sapevo solo che avrei dovuto aprire la bocca e girare la lingua. La facevano facile, nessuno mi aveva spiegato come potevano due lingue provenienti da direzioni opposte trovare uno spazio senza bloccarsi reciprocamente la via. Sono pensieri, per un ragazzino al primo bacio. Staccatici dopo qualche secondo, ricevemmo contemporaneamente sguardi ammirati e critiche feroci (era pur sempre il puritano mondo degli scout cattolici).
Pochi attimi dopo il nostro “bacio”, i capi-scout fecero irruzione come la buoncostume (dovrebbe fare) a Villa Certosa. Capito cosa stavamo facendo, ci sciolsero avvertendoci che sarebbe stato meglio non replicare. Chi li avvertì? Valerio, proprio il mio sex-toy dei primi anni delle elementari, offeso per essere stato escluso dal gioco a cui voleva assistere senza partecipare, diede prova di grosse doti da spia.

Il fatto di essere stato scelto da una ragazza più grande mi dava al contempo buone e brutte sensazioni. Mi faceva sentire in colpa il fatto di avere sprecato così il mio primo bacio. Decisi perciò di utilizzare per la prima volta una tecnica codarda che avrei riutilizzato più volte nella mia vita. Finsi che non fosse mai successo. Il mio primo vero bacio sarebbe stato il prossimo, l’avrei dato ad una ragazza che meritava e tutto si sarebbe svolto come doveva.
Ad una ragazza, già. Il bambino precoce che aveva dato spettacolo fin dai primi anni di vita stava lasciando spazio ad un soldatino della normalità, che per paura di essere diverso si voleva omologare a tutti i costi ai suoi amici, ai suoi compagni, all’immagine del ragazzino medio. Tutto ciò che mi differenziava dalla massa covava dentro di me e doveva rimanere ben sopito, dietro all’immagine di ciò che dovevo essere, in nome di non si sa bene quale dovere.

Le scuole medie furono il crocevia di queste sensazioni. Le mie prime storie erano un classico di quegli anni. Bigliettino. “Ti vuoi mettere con me? Sì – No – Boh”. Nessuno ha mai risposto boh. Gli avrei sputato in faccia come farei a quelli che rispondono “non rispondo” durante i sondaggi telefonici. In caso di no, niente. In caso di sì, partiva una storia della durata variabile dai due giorni al mese, in cui ragazzo e ragazza non si rivolgevano la parola neanche per sbaglio, riuscendo pure a peggiorare il rapporto d’amicizia che c’era prima dell’invio del bigliettino. In effetti non se ne evince molto l’utilità. Come tutti, ebbi anche io le mie storie inutili con due o tre ragazze, esaurite così come erano cominciate: nel niente.
Ciò che non andava giù era il mio carattere: pur avvertendo in me un potenziale “signor carattere”, lo soffocavo per comportarmi nella maniera più normale possibile, per comportarmi come tutti si aspettavano mi comportassi, per dire agli altri ciò che si aspettavano dicessi loro.

Solo in un ambiente, ero completamente me stesso. Solo per un mese e mezzo all’anno mi sentivo bene, a mio agio, sicuro di me e di ciò che ero, seppure mi trovassi in piena fase di conoscenza di me stesso. Al lago era tutta un’altra storia. In uno sperduto residence sulle colline gardensi, dove tutto si ripeteva uguale e immutato anno dopo anno, agosto dopo agosto, ero riuscito a costruirmi, nel mio gruppo di coetanei, un’immagine di me che mi lasciasse la voglia di replicare, l’anno dopo, che mi arricchisse e facesse sentire più a mio agio con me e con gli altri. Sempre circondato da quelli che considero tutt’ora i miei due fratellini più piccoli, Betta e Marco, conosciuti a sei anni (quando loro ne avevano 5 e 4), imparai a tirare fuori il mio carattere, a confrontarmi con miei coetanei, a capire più cose di me.
Cosa comportava questo nell’anno a venire? Niente. A ripartire da Settembre tornavo a chiudermi in me stesso, a mettere via quella parte di me che avevo imparato a scoprire schermandola con le mie prime dosi di caustica ironia che imparai a dosare per ripararmi da un mondo in cui continuavo a non sentirmi a mio agio. C’entrava la mia mancata accettazione? O era a livello troppo inconscio per essere capita? Mi sentivo diverso e non capivo che dovevo semplicemente realizzarlo, lottavo per non essere messo da parte dagli altri, per essere un ragazzino come tanti, che giocava a calcio, faceva a botte e correva dietro alle ragazze. Eppure una sensibilità diversa sembrava battere in me, in un contesto come quello scolastico non avevo possibilità di emergere, volevo solo non affondare.

Cosa cambiò le carte in tavola? Uno schianto in bicicletta, durante un’estate che cambiò molte cose, che mi fece capire su cosa avrei dovuto lavorare per diventare l’Ale che sono adesso. Poco prima, il passaggio alla scuola superiore e il primo vero bacio mi resero davvero consapevole dell’adolescente che volevo diventare. Rimaneva da aggiustare qualcosina, ma era questione di tempo…

continua...

5 commenti:

  1. Io voglio l'intero romanzo ale... sfonderesti... BITA alla feltrinelli sai che flash!!

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  2. NOn c'è niente da fare..sei bravo sei bravo.
    Pensa veramente ad un libro! :p

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  3. Non posso fare a meno di accodarmi a chi già l'ha scritto : sei proprio bravo Alettì ^^
    Se la scorsa volta avevi paura di esser stato troppo crudo, questa versione soft, per così dire, non mi ha affatto deluso : tu scrivi ed io rivedo pezzi della mia infanzia...chi si ricordava più di quei bigliettini “Ti vuoi mettere con me? Sì – No – Boh” : mi hai fatto morire dalle risate XD
    non vedo l'ora di leggere la prossima puntata...sbrigati a far venir presto lunedi :D

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  4. Troppo forte...ma ormai non glielo scriverò più, che pensa che voglia incensqarlo e basta :D

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  5. Mannaggia Ale, col casino del ritorno sui banchi ho letto solo ora il post :o

    Cmq che dire, è una figata di autobiografia la tua!! Che dici, proponiamo alla Rizzoli di pubblicare la tua invece di quella della Maionchi? :D

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