mercoledì 17 febbraio 2010

THE LONELINESS THAT SET YOU FREE

Mi accorgo, voglia a parte, di non avere la vena creativa dei tempi d'oro. In fondo sono la stessa persona che è riuscita a produrre questo "racconto", una delle poche cose di cui sono mai stato fiero. Ma anche tanto altro, che nel mio blog precedente e in questo si può trovare nel mix di stronzate, racconti di vita e pensierini elementari. Qualcosa di buono, dicevo, che non sono sicuro di essere ancora in grado di riuscire a scrivere. Cosa è cambiato rispetto a quegli anni? Probabilmente tutto: io per primo, le persone accanto a me e i miei rapporti con gli altri. Credo di aver cambiato carattere, credo di aver sviluppato qualche pregio e di avere ingigantito molti difetti, credo di aver perfino cambiato l'approccio verso ciò in cui son sempre rimasto uguale. Ho cambiato punti di vista, ho cambiato coraggio, modo di esprimermi, modo di fare. Tutto ciò non c'entra con una sensazione che, di fondo, ho sempre sentito mia: quella solitudine che mi ha temprato, mi ha cresciuto e fatto diventare quello che sono ora. Intendiamoci, non la solitudine di chi viene dimenticato in macchina o che cresce senza genitori, tutt'altro. La mia solitudine è nata insieme alle mille attenzioni e premure messe in campo dai miei: dovevo mangiare, dovevo crescere forte e robusto, non dovevo ammalarmi, dovevo andare bene a scuola, non dovevo farmi male. E ancora, dovevo avere più amici maschi, che niente niente che questo ci diventa frocio? E dovevo trovarmi una ragazza, ad un certo punto. L'unica cosa che non ho mai dovuto fare è stato parlare di me. Spiegarmi, far capire come mi sentivo. Tradurre in parole quelle complesse connessioni mentali che mi passavano per la testa per renderne una persona esterna partecipe. Ci ho provato comunque, seppure pensassi che non era ciò che a loro poteva interessare. Non era un bisogno fisiologico, dopotutto. Le loro risposte mi han sempre fatto cadere le palle.

Non mi sono mai sentito capito. Mai del tutto. Nè da loro nè da me. Mi sono inventato gli amici, queste figure importanti per la mia crescita e che a tutt'oggi rappresentano una fonte inesauribile di energia, una valvola di sfogo e un'occasione di confronto importante per risolvere tutti i problemi (miei e loro, piccoli e grandi) che la vita ci mette davanti. La sensazione, di fondo, rimane. Non è solitudine, è consapevolezza di non essere capito al 100%. O all'80. O al 60. O al 20.

Cosa mi manca per essere di nuovo capace di spiegarmi e farmi capire? O perlomeno dove posso ritrovare la voglia di farlo? Quello che sapevo produrre (sul blog e in file di word che non potevano essere pubblicati) era davvero dato dall'irrequietezza che ha caratterizzato gli anni dal 2004 al 2007? Ho davvero bisogno di cullarmi beato nelle situazioni irrisolte, nei sentimenti non ricambiati, nell'ostinazione di farmi capire, nell'illusione di aver trovato qualcuno in grado di farlo e nella disillusione finale che, ancora una volta, non è andata come doveva andare? Era questo che cercavo? E' questo di cui ho di nuovo bisogno?

Cosa devo cambiare per essere vivo, non solo sereno?

1 commento:

  1. Non ci conosciamo...e allo stesso tempo non penso di avere nessuna delle risposte che cerchi. Il tuo post però mi colpisce...come mi colpisce il racconto. Spesso anche io mi sono ritrovato a scrivere delle storie...che poi raccontavano solo di me...e allo stesso modo anche io ho vissuto la solitidine...sia quella di sentirsi "abbandonato", sia quella di non sentirsi capito. Sinceramente...trovo nel tuo post uno sfogo chiaro rispetto alla situazione che vivi...Forse non ti riuscirà di scrivere quei bei racconti di una volta ma di "tradurre in parole quelle complesse connessioni mentali che mi passavano per la testa"...beh...quello, a mio parere, penso che tu abbia imparato a farlo.
    Come detto in apertura non è delle risposte per te...ma la speranza che tu possa presto trovarle e sentirti così finalmente vivo.
    In bocca al lupo per tutto
    Marco

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