lunedì 14 dicembre 2009

BITA - ALE DAGLI ANNI '90 AD OGGI - 13^ E ULTIMA PUNTATA

L’estate 2006 era stata importante e ricca di eventi. Alla fine del mese di agosto avevo già scelto quali sarebbero state le uniche facoltà in grado di attirare la mia attenzione per un divenire universitario: psicologia e scienze della comunicazione. Per mia fortuna, in quel di Milano Bicocca trovai ciò che faceva al caso mio: un indirizzo che, sotto psicologia, univa i due ambiti e dava la possibilità di scegliere, in un secondo momento, in cosa specializzarsi. Posso dire che, al contrario di molti miei compagni del liceo, sento e ho sempre sentito che quello era l’indirizzo di studi giusto per me, ciò che avrei sempre voluto fare, anche in ambito lavorativo. Nei primissimi giorni di Settembre tentai il test, dopo essermi preparato nel corso dell’estate con qualche libricino apposito e dopo aver ripassato alcune nozioni scolastiche e vari concetti di cultura generale.

Superai bene il test (arrivai secondo, ndm – nota del modesto) e mi decisi definitivamente a iscrivermi proprio lì. I primi giorni di università furono piacevoli, nonostante l’ora e mezza di treno che mi costringeva ad alzarmi due ore e rotti prima del dovuto, in vista di un anno pienamente votato alla sacra arte del pendolarismo. Le interminabili ore di treno, in effetti, avevano il difetto (oltre al costo esorbitante, lo sporco e il rischio di colera, i ritardi, l’ammassamento di gente e chi più ne ha più ne metta) di darmi tanto, troppo tempo libero per guardare fuori dal finestrino e pensare. Sempre stata una mia predisposizione, quella di pensare fino allo sfinimento. Ma ciò gli ultimi accadimenti avevano mutato in me, mi aveva portato a mettere da parte pensieri sentimental-nostalgici quali “fino a pochi mesi fa andavo al liceo sotto casa, ora faccio l’università in un’altra città”, sacrificandoli al pensiero fisso di M., che non ne voleva più sapere di uscire dalla mia testa. Dopo un’altra estate di procrastinamenti, la situazione con lui non era mutata, rimaneva fissa in un ipnotico e fastidioso alternarsi tra notti in cui era una persona, mattine in cui faceva finta di nulla, giornate normali e serate in cui tornava ad essere un ragazzo adorabile su cui amavo fantasticare. Tuttavia, la mia “pseudo relazione” con I., eredità di un’estate in cui l’occasione di poter avere una ragazza mi aveva “preso con le mani nel sacco”, rimaneva attiva e aveva intenzione di proseguire anche per i mesi autunnali.

La mia testa e il mio corpo non riuscivano a reggere questo ritmo. La sveglia era puntata, per tre giorni alla settimana, sulle 6.01 (ho sempre odiato mettere la sveglia agli orari “tondi”, non so perché), per poter prendere il treno di 6.36 (sempre di corsa, ho ben altre idee di “risvegli soft”) e arrivare in tempo alla lezione di 8.30. Tornavo a casa verso sera, stanco e affamato, dovendo anche trovare il tempo di uscire con una ragazza che non volevo, ma che “dovevo farmi piacere”, perché in fondo così avrei risolto tutto. Un paio di volte alla settimana, inoltre, vedevo M., soffrendo per i tuffi al cuore che un suo sorriso o un involontario sfregarsi delle mani avrebbe causato riportando alla mente i dolci contatti notturni della primavera e dell’estate prima. Cominciai a passare il tempo libero chiuso in casa, al computer, chattando dalla mattina alla sera con alcune persone, conosciute qua e là sulla rete. Alternavo l’attesa del vedere M. online alla gioia di raccontare tutta la mia storia e tutta la mia vita a un paio di persone conosciute per caso su internet (e mai di persona), che vedevo per la prima volta in grado di capirmi, con le quali mi sentivo per la prima volta in grado di essere me stesso. In casa era una bugia unica, non avevo mai potuto dire nulla di me e non ne avrei mai avuto intenzione, con la mia migliore amica vivevo ancora con la mia falsa identità eterosessuale, con M. e l’altro ragazzo non potevo fare parola della situazione insopportabile, non potevo compromettere tutto. Finchè, semplicemente, non ce la feci più. E decisi di sparire.

Pubblicai sul blog un intervento dal titolo “Sparirò”, andai avanti a vivere le mie giornate tra msn e gli interminabili viaggi in università, sparendo completamente dalla vita di M., smettendo di rispondergli ai messaggi, rendendomi irreperibile in qualsiasi modo avrebbe potuto contattarmi. Provò a scrivermi, ma non gli risposi. Provò a chiamarmi, ma gli ignorai le chiamate. Dopo due giorni del genere si rese conto che l’unica cosa da fare era consultare il mio blog, e capii. Mi arrivò un messaggio, di cui ricordo ancora buona parte, avendolo tenuto in memoria per quasi un anno: “Bella idea, sparire. E io? Non resta niente a me? Ok, sono uno stronzo e non capisco (cos’hai, ndr), ma pensavo di essermi meritato qualcosa di più che il silenzio”. Ignorai anche quello. Il punto era che lui sapeva che io soffrivo perché “ero innamorato di qualcuno”, ma non voleva capire che si trattava di lui. O meglio, lo sapeva benissimo ma non voleva/poteva ammetterlo ad alta voce. Addirittura un giorno dopo il tennis, sotto la doccia (e mi scuso per la squallidezza, ma ho proprio il ricordo del fatto che mentre ne parlavamo mi fissava con lo sguardo che io riservo giusto giusto alle pubblicità di Giorgio Armani con David Beckham), ipotizzò che mi fossi innamorato della sua ragazza. Tutto ciò era così subdolo, così bastardo. E comunque ero rimasto al suo gioco fino a quel momento.

Dopo quasi una settimana in cui non gli risposi, fece una cosa inaspettata: venne a prendermi in stazione, dopo un giorno in università. Sentivo in cuor mio che l’avrebbe fatto, sapeva i miei orari e sapeva che l’avrei voluto; semplicemente non credevo avrebbe mai avuto il coraggio di farlo. Nel mio ipod risuonava “My heart will go on” (riproduzione casuale, intendiamoci), salii le scale della stazione e mi trovai di fronte il suo ciuffo moro inconfondibile. Cercando di contenere l’emozione, tirai fuori un “ciao” di proporzioni incontrollate, che risuonò per tutta la stazione. Parlammo un po’, io avevo il cuore a mille. Disse che aveva ragionato, e che se non mi ero innamorato della mia ragazza, della sua, di quella di un passante, di qualche compagna di classe, di mia mamma, della sua o di quella di un passante, evidentemente il problema doveva essere lui. Sarcasticamente gli feci i complimenti, dopotutto c’era arrivato così in fretta. Eppure, nonostante in cuor suo questa certezza si fosse fatta “voce”, ci rimase male. Mi lasciò a casa, decidemmo di non sentirci per un po’. Era quello che stavo cercando di fare da giorni, pigna.

A casa stavo male, i dialoghi con i miei genitori erano relegati al minimo sindacale. Passavo da intere giornate al computer a momenti in cui i rapporti con loro erano ridotti all’osso, in cui, a tavola, non si andava oltre al “mh, sì” e altri amabili discorsi monosillabici. Poi, una sera, dissi a mia madre che stavo male. Le dissi che me ne volevo andare, cambiare aria, cambiare gente, che non ne potevo più. Piansi un po’. Lei capii che qualcosa andava oltre, che c’era dell’altro, mi chiese se mi ero innamorato. Confermai. Respirò a fondo, si fece coraggio e me lo chiese. Mi chiese se mi ero innamorato di una persona del mio stesso sesso. Io non avrei mai voluto dire di me ai miei, ero convinto che non ne avrei fatto parola fino ai 40 anni, fino a quando non avessi avuto una indipendenza economica, fino a quando non avessi abitato in un’altra casa. Tuttavia, in quel momento non ero in me, la domanda mi aveva preso alla sprovvista, eppure era stata fatta con una buona dose di dolcezza, di comprensione. Semplicemente, mentire sarebbe stato inutile, insultante, ulteriormente fastidioso per la situazione in cui mi trovavo. “Sì”. Fu quel semplice annuire che fece cominciare ufficialmente il mio coming out coi miei. Cominciai a parlarne con mia madre, provai a rassicurarla sul fatto che la cosa riguardasse solo la sfera sentimentale, che comunque io fossi attratto dalle ragazze, ma il danno era fatto. Poche ore più tardi, trovando mio padre sveglio da solo in sala, parlai anche con lui. Ricordo le sue parole: “credo da un po’ di tempo che tu sia omosessuale, ma ho paura di chiedertelo”. Se solo avesse saputo quanta paura avevo io, di chiedermelo, forse avrebbe aspettato un altro po’. Il clima era teso, l’aria irrespirabile. I giorni successivi al coming out (parziale), i musi erano lunghi come quelli che fino a qualche anno fa mi erano destinati dopo un 4 in latino. Solo che questa volta non era colpa mia.

I miei genitori non la presero affatto bene. Il loro percorso d’accettazione stentò a partire, mi dissero che probabilmente non mi avrebbero accettato mai, che per loro la cosa era inconcepibile, che speravano in cuor loro potesse essere solo una fase, perché altrimenti la vita sarebbe stata terribile, costellata di immani difficoltà e loro non sarebbero stati in grado di affrontarla con me. Ricordo fasi di insulti senza capo né coda, ricordo di aver detto loro frasi di una volgarità inaudita, che se ci ripenso ora me ne vergogno sinceramente, ricordo altri momenti in cui si riusciva a parlare, con più calma, ricordo le loro notti insonni in sala, a parlare e piangere. Ricordo che non abbracciai mia mamma per alcuni mesi. Ricordo la sensazione di “tanto è tutto rovinato, tanto non torneremo mai più come prima, non torneremo mai ad essere una famiglia”. E giù insulti, e giù bombe a mano, per massacrarli, per farli sentire almeno un po’ come mi sentivo io. Per vendicarmi di certe frasi, per vendicarmi del fatto che fino a quel momento mi avessero ignorato e ora mi odiassero per quello che ero. C’ero già io ad odiarmi, bastavo e avanzavo.

Ricordo tanti momenti. Una notte, loro erano nel loro letto senza dormire, col bacino leggermente sollevato e lo sguardo perso nel vuoto. Li percepivo come se fossero morti, come se gli avessero tolto la voglia di vivere. Seduto sulla sedia in camera loro, mi misi a fare silenzio insieme a loro, con le stesse emozioni di chi finalmente riesce ad inserirsi in una discussione. Senza dire niente, mi pareva di riuscire a sintonizzarmi con loro. Anche quella sera, i miei tentativi di spiegarmi andarono a vuoto, sostituiti in breve da un litigio, dagli ennesimi insulti, dal mio chiudermi in camera, a chiave.

La fiducia era venuta meno: li detestavo perché pensavo mi detestassero. Meccanismo di difesa? Forse. Di sicuro non li aiutai, semplicemente perché non ero pronto per farlo. Non ero pronto io, avevo rinviato in continuazione il momento in cui mi sarei dovuto accettare, arrivando a un punto in cui i miei genitori sapevano di me senza che lo sapessi io.

Una domenica, con mio fratello presente (e ignaro), tirarono fuori una questione di messaggi sul cellulare spiati. Erano messaggi di un paio di ragazzi (gay) conosciuti su internet con cui messaggiavo in innocenza, parlando anche di omosessualità. Essendo loro convinti che fosse quel nuovo mondo, ad avermi portato sulla “cattiva via”, il discorso spiccò anche in presenza dell’altra parte della famiglia, nonostante mia cognata sapesse di me praticamente da sempre e si fosse sempre dimostrata dalla mia parte. Da parte di mio fratello non fu così. Quella sera mi chiamò, dicendosi preoccupato per ciò che aveva sentito uscire dalla bocca di mio padre. Mi raccontò la storia di un suo amico gay, con cui lui aveva provato ad essere amico, ma non era stato possibile perché lui ci aveva provato. Mi disse che i gay erano malati, contagiosi. Poi, la cosa più terribile, che anche oggi fatico a raccontare, perché la vissi come una violenza: mi chiese di giurargli che non fossi gay. “Giuramelo. Giuramelo!”. Al terzo imperativo glielo giurai, con scarsa convinzione. Capii che non avevo il suo appoggio, che avevo perso i rapporti con la mia famiglia, che così non potevo essere accettato.

A dicembre “lasciai” I., lei la prese male – era una ragazza fragile – ma fui abbastanza convincente nel farle capire (senza spiegarle niente) che il problema era mio e dovevo essere io a chiarirmi determinate idee.

Chi aiutò me e i miei genitori a venire fuori da un punto di non ritorno fu una psicologa. Decidemmo di andare da lei come ultimo tentativo, come ultima spiaggia. Facevamo sedute tutti e tre, poi altre volte andavano solo loro, raramente io da solo. Il punto non era, fortunatamente, far cambiare me, ma aiutare loro ad accettarmi, e aiutare tutti e tre a recuperare quell’unità familiare andata in frantumi. Quello che successe in quello studio fu un mezzo miracolo: quella terapeuta fu un angelo che, oltre ad aiutarci, mi fece innamorare ancora di più della materia. Per quanto riguarda noi tre, fu un percorso lunghissimo e decisamente tortuoso, che però, alla luce della situazione odierna, ha dato i suoi frutti.

“Mi feci passare” la cotta per M., che da una stupidata in nave mi aveva portato all’autodistruzione e ad uno dei momenti più critici della mia vita, facendomi perdere l’appoggio della mia famiglia e rendendomi, in qualche modo, la persona che poi avrebbe passato l’anno peggiore della sua vita. Semplicemente non lo sentii più, e quando lo risentii non provavo più le stesse cose per lui.

Mentre l’interminabile anno 2006 volgeva al termine, potevo riguardarmi indietro e notare i tanti, tantissimi avvenimenti che mi avevano portato a diventare quello che ero. Il percorso di crescita che mi aveva trasformato dal bambino che girava in bicicletta per le strade del lago a quel ragazzo che ora doveva ricostruire un delicato equilibrio familiare e accettare definitivamente la propria omosessualità. Potevo voltarmi indietro e rivedere anche gli errori che mi avevano portato a quel punto: tante bugie, tante cose nascoste e non dette, troppi rapporti vissuti più sulle idealizzazioni che su avvenimenti veri e propri. Ma avevo le carte in regola per diventare un ragazzo migliore.

Quello che non potevo sapere, però, era che l’errore più grande era già scritto a fuoco nel mio 2006 terribile. Non sapevo che in un momento qualsiasi di questa storia infinita, avevo già incontrato la persona che mi avrebbe devastato la vita, rivoluzionando me e tutto ciò che di buono ero riuscito a costruire. Non lo potevo sapere perché tutto ciò sarebbe successo nel corso di un 2007 infinito, fatto di lacrime e viaggi, di notti di passione e di atti di follia, fatto di colpi di testa e legami fortissimi, come mai era capitato prima. Un 2007 che, tuttavia, rimane soprattutto l’anno in cui ho conosciuto l’amore della mia vita, in cui ho dato il mio primo bacio e in cui, per la prima volta, ho fatto l’amore. Un 2007 che mi ha distrutto e fatto rinascere, nell’arco di pochi mesi.

Si tratta però di una storia lunghissima, che merita da sola un’intera stagione di “Bita”, che in un secondo momento spero di trovare il coraggio di scrivere. Perché certe cose, ricordarle, fa ancora male.

Ringrazio chi è giunto fino a qua, chi mi ha dimostrato affetto e si è trovato bene nel leggere la mia comune storia. E dico comune perché, nel raccontarla, non ci ho trovato niente di particolare, né ci ho dovuto aggiungere alcun particolare romanzato. La sua particolarità è stata quella di essere vera, di essere un percorso di crescita, o di essere stata vissuta. E sono questi elementi che rendono particolari e interessanti le storie di tutti noi.

Se vorrete, se vi interesserà, la seconda stagione di “Bita” la troverete prossimamente su queste pagine. Dietro lauto conguaglio economico, si intende J

13 commenti:

  1. "Se vorrete, se vi interesserà, la seconda stagione di “Bita” la troverete prossimamente su queste pagine. Dietro lauto conguaglio economico, si intende "

    Allora: Io LO VOGLIO, MI INTERESSA, ora mi manca solo di sapere a quanto ammonta il conguaglio economico :D

    RispondiElimina
  2. Primo!
    :)

    Questo è stato forse l'episodio più intenso e più bello!
    Spero di leggere presto la seconda stagione, perchè sento che mi interesserà ancora più della prima!
    J

    RispondiElimina
  3. No! Mi ha fregato Ric per 2 minuti! :D

    RispondiElimina
  4. Una storia comunissima che fa bene a tanta gente che crede di essere sola.
    Raccontala... ne hai tutto il diritto e il dovere.

    un bacione :X

    RispondiElimina
  5. arrivo per puro caso sul tuo blog perchè sempre per puro caso ho cominciato a seguirti su twitter...anche se sono una sconosciuta per te spero che apprezzerai la sincerità del mio commento:
    ti volevo fare i complimenti soprattutto per come hai definito la tua storia -vera, un percorso di crescita, una storia che è stata vissuta- bravo sì sì è proprio per questo che l'ho trovata interessante, aiuta a capire che dalle difficoltà, dai problemi si può ricavare sempre qualcosa...bello o brutto che sia,sono le esperienze che formano ciò che siamo.
    La mia è una realtà totalmente differente dalla tua, non ha niente a che fare con l'orientamento sessuale. Nonostante ciò trovo delle somiglianze e riesco bene a capire ciò che hai potuto provare.
    Ti auguro che adesso tutto vada per il meglio:-)
    scusa per la lunghezza del commento ciao

    RispondiElimina
  6. anonima grazie mille per il commento (e per il follow su twitter) mi ha fatto molto piacere ^_^

    RispondiElimina
  7. Davvero un episodio intenso. Mi spiace tu abbia affrontato tutti quei problemi. L'importante e' che tu sia riuscito a risalire e a raggiungere un equilibro familiare.
    Io forse son stato piu "fortunato", ma forse perche il mio outing e accettazione e' arrivato tardi (tra i 25 e i 26 anni) e con i miei non ho fatto dichiarazioni ma ho fatto si che ci arivasse mio padre da solo il quale poi ha riferito a mia madre. Mio padre non e' felicissimo ma mi accetta.

    Se non ti crea problemi rispolverare altri ricordi mi piacerebbe leggere il seguito ma se non te la senti (e posso capirlo) non sentirti obbligato da quanti te lo chiedono. :)

    RispondiElimina
  8. di niente:) ah comunque su twitter sono wrttenonthewind...così se qualche volta mi capita di rispondere a qualche tuo tweet,sai chi sono
    ho visto che seguiamo più o meno gli stessi programmi televisivi(infatti ho cominciato a seguirti quando c'era xfactor)...e i tuoi commenti certe volte sono veramente divertentissimi(ahah che cosa profonda...ma alla fine chi è che non guarda la tv?! e chi dice di non vederla mai...mente! ahah)
    ciao ciao:)

    RispondiElimina
  9. Ciao, mi sono imbattuto x caso nel tuo blog. La storia che racconti, come ha già osservato qualcuno, è molto comune. Anch'io ci sono passato.. Chissà perchè tutti i genitori sono convinti che l'omosessualità sia una malattia che si contrae frequentando "cattive" compagnie, della serie "chi va con lo zoppo, impara a zoppicare". Comunque anch'io, come te, pensavo da ventenne (erroneamente) che una volta acquistata l'indipendenza economica e una volta uscito da casa, avrei potuto fare la mia vita.. Invece, non solo venni messo alle strette dai miei prima che questo avvenisse (come nel tuo caso mi "sgamarono", e mi costrinsero ad un umiliante confessione..), ma addirittura, a più di quarant'anni, mi ritrovo ancora a vivere coi genitori, perchè i bassi stipendi che ho sempre avuto (nonostante la laurea) non mi hanno mai concesso di poter vivere da solo.
    Ora credo di aver trovato il compagno della mia vita, e spero di poter realizzare il sogno di andare a vivere con lui, come scrivo nel mio ultimo post, ma non sarà facile, perchè i miei non hanno mai accettato e non accetteranno mai..

    RispondiElimina
  10. Behhh nn mi è mai successo di leggere 13 post senza commentare mai.
    Mi ero ripromesso questo ancora dalla 2^ puntata forse anche xkè trovavo i post scorrevoli, semplici (le vacanze al lago ne sono un esempio), insomma come quelli di qualsiasi ragazzo.
    Poi ho notato in te una grinta che ha completamente modificato il giudizio che mi ero fatto di te. Sei cresciuto moltissimo nel carattere.
    Pensavo però che ti fosse scappato prima un bacio XD

    RispondiElimina
  11. bello bello bello, ed ovviamente ci consola sapere che c'è un lieto fine :)
    il piccolo Ale ha avuto le palle di affrontare la realtà e di vincere la sua battaglia , scontato quindi dirgli che si meriti quanto di bello ha ( unica cosa che mi stona è la reazione che ha avuto tuo fratello, mi sembrava piu aperto. Spero che sia cambiato cmq)
    Un bacione :X

    RispondiElimina
  12. Ho letto tutti e 13 i post tutti di un fiato. Bellissimo è il modo in cui scrivi, lodevole è il coraggio che hai trovato. Ti ammiro.

    RispondiElimina