venerdì 30 gennaio 2009

MILK



Innanzitutto è un film che va visto. Scorrevole, non scorrevole, mattone, strappalacrime, va visto. Va visto perchè parla di uno dei primi attivisti gay (e si sa che oggigiorno di attivisti nell'ambiente ce ne son pochi, non credete ai versatili) che ha fatto qualcosa di serio per la causa. Se fossi un recensore serio ora avrei la pagina di wikipedia aperta sul conto di Harvey Milk, ma chi conosce le mie recensioni sa che non è questo il mio modus operandi. Già il nome, "Harvey", è improvvisato, potrebbe scriversi anche "Arvei" per quanto ne so. Resta il fatto che il film tratti la storia del primo omosessuale dichiarato eletto ad una carica pubblica degli Stati Uniti. Che è un primato un tantino lungo, tipo "primo asiatico col nome che comincia per K a rimanere in apnea in una vasca da bagno per più di due minuti e trentotto". Il punto è quello: "omosessuale dichiarato". Io non ho vissuto negli anni '70, e francamente con quegli occhialoni alla Daniele Magro non ce l'avrei proprio fatta, a vivere; comunque, non so come erano i gay dell'epoca, ma è possibile che non ce ne fosse uno non effemminato? Questo blog sarà l'ultimo posto dove troverete discriminazioni a riguardo (e non è un mettere le mani avanti tipo "io ho un sacco di amici gay"), ma quello reso ieri sera non era uno spaccato reale. Tutti col polso rotto, con la sigarettina aspirata, con gli urletti, con la camminata a chiappe strette e la sofferenza da divismo acuto. Perchè? La storia insegna che l'opinione comune va intaccata sulle sue certezze, non si ottiene niente mostrando dei "buffi fenomeni da baraccone", perchè verranno avvertiti sempre come lontani dalla loro realtà. Questo film, invece, veicola un altro messaggio. Ossia quello che nessuno può guardare da lontano l'omosessualità, perchè tutti, in un modo o nell'altro, sono collegati a quel 10-15% di persone. Che non c'è malattia, non c'è perversione e non c'è devianza. E che non c'è nulla di positivo nel viverla in modo nascosto, perchè ci sono persone che sono morte per evitare di farci perdere "la casa, il lavoro", diritti inalienabili. E non è questione di privacy, di tempi, è questione di bene comune. Uno Sean Penn maestoso, comunque, affiancato da uno dei miei registi preferiti, che ancora una volta riesce a chiudere un suo film dandomi quel pugno nello stomaco che mi fa seriamente credere che abbia scelto di seguire il film sulla poltrona accanto a me, con un guantone.

Voto: 7,5

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