domenica 4 settembre 2011

IL PERDONO /2 - TERZE POSSIBILITÀ

(segue)

Il fatto che nessuno ci insegni a perdonare non ci autorizza a non farlo a prescindere o, peggio, a perdonare chiunque indistintamente. Diffido dai dogmi, "è pur sempre tuo parente", "pensa al fatto che siete amici da tanto tempo" e via dicendo. I legami di parentela o le amicizie cementate non autorizzano a una mancanza di rispetto continua, non autorizzano al perdono a prescindere. Anzi, per certi versi sono aggravanti: certe cose non te le aspetteresti da persone che ti conoscono da tempo o che sono consanguinei che ti hanno visto crescere. Anche Hitler, avrà avuto amici d'infanzia, anche l'attentatore di Oslo avrà avuto dei genitori. Non si può essere caritatevoli con le persone solo perché la storia ci ha legato a loro. Si può avere un occhio di riguardo, ma non ci si deve lasciare fregare.

Perché le persone, al netto dei legami affettivi passati, hanno una loro testa, una loro storia e delle responsabilità. E come non si può concedere tutto a un parente, non è giusto permettere ad amici di vecchia data di aggirare il senso comune del rispetto, lo stesso che ci aspetteremmo da un conoscente o dallo sconosciuto in coda dietro di noi in biglietteria.

Dare seconde possibilità, in tal senso, secondo me è una sorta di obbligo morale. Tutti sbagliamo, il fatto stesso che l'essere "umani" sia stato mutuato come aggettivo di fallibilità, spiega come ciò sia scritto nella nostra natura. Per quello è giusto parlare di terze possibilità. Normalmente una persona che ha sbagliato e che è stata perdonata ha capito il suo errore, ed è grata della seconda chance. Eppure capita - spesso - di sbagliare di nuovo. Ricadere nello stesso errore o in uno molto simile è un rischio più che reale. Dare o non dare una terza possibilità dipende dai due agenti in atto e dalla gravità del gesto.

Negli ultimi mesi ho perso - nel senso affettivo - parecchie persone. Capita, è la vita. Tra queste, peró, ce ne sono tre che mi avevano già dato segnali che avrebbero potuto farmi realizzare la loro inaffidabilità. Si tratta di due amici e un parente.

Nessuno aveva dato loro il diritto di calpestare la mia fiducia, la mia onestà o i miei tentativi di mantenere un rapporto, rispettivamente. Eppure ho concesso, molto, troppo. Attendendo, non solo che i loro errori venissero riconosciuti, ma che non fossero ripetuti. E se in un caso ho perdonato molto, ricevendo in cambio sempre e solo coltellate, se nell'altro ho creduto che i tentativi di costruire il rapporto d'amicizia fossero reciproci e se nell'ultimo mi sono illuso che il suo disinteresse per le persone fosse "caratteriale", alla fine mi sono ritrovato ad accettare il tutto. Nessuno di loro tre cambierà mai, perché il loro venire anni luce prima del rapporto con me impedisce e continuerà a impedire loro di riconoscere gli errori e chiedere davvero perdono.

E come a loro non interessava un reale perdono, un reale rapporto di fiducia e rispetto, questo m'ha insegnato ad andare oltre le scuse (qualora ci fossero, ovvio), ma a capire quanto quell'errore potesse essere sintomatico di un'incompatibilità personale. Perché un conto è perdonare, un conto è vedere vero pentimento e voglia di ricominciare a costruire nella stessa direzione.

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